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Il Salmo 42

Liturgia28 Marzo 2019
Testo dell'audio

 

1.Sii mio giudice, o Dio,

e separa la mia causa

dalla gente profana:

liberami dall’uomo iniquo

ed ingannatore.

 

2.Poiché tu, o Dio, sei la mia forza.

Perché mi respingi? E perché devo andare mesto,

mentre mi affligge il nemico?

 

3. Irraggia la tua luce e la tua verità:

esse mi guidino e mi accompagnino

al tuo santo monte ed ai tuoi tabernacoli.

 

4.Mi appresserò all’altare di Dio,

al Dio che allieta la mia giovinezza.

Ti loderò sulla mia cetra, o Dio, mio

Dio. Perché sei triste, o anima mia?

E perché mi conturbi?

 

Spera in Dio, perché potrò lodarlo

ancora. Lui che è la salvezza mia,

ed il mio Dio.

 

Questo piccolo canto è una preghiera imperativa (vv. 1-3) a cui fa seguito un sacro proposito (v. 4) che si conclude con una sincera confidenza nella Divinità (v. 5).

Descrive la situazione e lo stato d’animo del cantore, che si trova lontano da Gerusalemme ed è duramente oppresso dai nemici. Gli costa soprattutto l’essere separato e lontano dai santi tabernacoli: gli sembra un castigo di Dio; perciò egli brama con dolore di poter ritornare al Santuario di Dio. Lì vuole glorificare Dio con sacrifici di ringraziamento e lodi: alla fine si fa coraggio e, lieto, confida in Dio con la speranza di un prossimo aiuto.

Il principale motivo dell’inclusione del nostro salmo nell’introito, all’inizio della messa, lo si trova, senza dubbio, nel verso: “Mi appresserò all’altare di Dio, al Dio che allieta la mia giovinezza”, il quale viene usato anche come antifona, cioè per segnalare l’aspetto ascetico di questo canto sacro in questa sua collocazione e uso liturgico.

Lo struggente desiderio dell’anima, l’umile timore, il commovente lamento, la lieta speranza, cercano e trovano nel nostro salmo la loro commovente espressione. Predomina un tono lieto e beato in Dio: perché in primo luogo vince la fiducia nella salvezza, l’interiorità della fede e della speranza sopra ogni tristezza e afflizione, ed infine il canto esulta di gioia nel “Gloria Patri” e nel ripetere l’antifona “Introibo”.

1.“Giudica, oh Dio, in mio favore e conduci la mia battaglia, difendi la mia causa contro un popolo senza amore: difendimi da uomini maligni e malvagi”. – Il sacerdote sta per salire all’altare: egli sente fortemente il peso del momento.

Il mondo che lo circonda è immerso nella malizia, è pieno di furbizia e violenza: anche nel suo intimo sente un contrasto, un conflitto interiore dello spirito contro la carne. Perciò egli implora che Dio voglia far valere il suo sacro diritto e proteggerlo contro il mondo empio e ingannatore: lo voglia anche aiutare a ottenere vittoria “sull’uomo vecchio”, cioè sulla concupiscenza della carne, sulle inclinazioni sbagliate e gli attaccamenti disordinati.

2.“Poiché tu, o Dio, sei il mio protettore, la mia difesa: perché ti dimentichi di me, perché mi hai abbandonato e perché sono costretto a muovermi con tristezza sotto l’oppressione del nemico?” – Egli conosce le proprie debolezze, e sa che solamente Dio è la sua “forza” che lo cinge di energia (Sal. 17,33); e che solo la vicinanza e l’assistenza di Dio, in queste lotte contro nemici esterni e interiori, può evitargli la sconfitta.

Oltre alla lotta contro tentazioni, passioni e difetti quotidiani, si aggiunge talvolta – sia per castigo, sia come prova o purificazione – il doloroso senso dell’essere abbandonato da Dio, lo stato penoso di aridità spirituale e di oscurità interiore. In tale situazione, che insinua un giusto e forte motivo di afflizione, sembra che tutti i nemici si siano caricati di rinnovata forza per vincere.

3.“Manda la tua luce e la tua fedeltà: esse mi devono guidare, accompagnare al tuo sacro Monte e al Tempio dove Tu dimori”. – La luce e fedeltà di Dio sono esseri personali, come spiriti conduttori (veracità) di Dio, come Angeli guida. Perciò il raggio di fiduciosa attesa illumina anche la notte di afflizione più tenebrosa: il sacerdote implora e il Signore gli manda la luce rassicurante della Verità, della Grazia e del raccoglimento. Il Signore è il suo ausilio e guida: lo conduce al Santuario e alla tenda della Grazia eucaristica.

4.“Ed io vengo, giungo all’Altare di Dio: al Dio che allieta e accontenta la mia giovinezza”. Sono proprio amabili le dimore del Signore: con fiducia nella misericordia di Dio, con rinnovata energia e intima gioia divina, che invade tutto il suo essere, il celebrante sale i gradini dell’altare dove “il pane di vita” gli conferisce la giovinezza di spirito e la beata immortalità che mai invecchia, cosicché – di giorno in giorno – si rinnova, anche se esteriormente appare consumato (2 Cor. 4,16) dalle fatiche, lagnanze e lotte che comporta la vocazione.

5.“Con l’arpa, mio Dio, ti voglio gioiosamente ringraziare: perché sei scoraggiata, abbattuta, anima mia, e perché mi confondi? Spera in Dio, poiché Lo voglio lodare come mia salvezza e mio aiuto, sì Lui: il mio Dio.” – Ancora una volta il sentimento di tristezza e timorosa inquietudine si vogliono manifestare, ma la forza della santa speranza supera tutto.

Questa speranza non delude; essa si mostra in Dio: la fonte della luce, della salvezza e della pace. Per tutte queste Grazie il sacerdote vuole poi lodare e ringraziare il Signore Iddio durante tutto il giorno e tutti i giorni della sua vita.

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