Il Purgatorio dei sacerdoti

Che dovrà dirsi poi di coloro che in forza del sacerdozio sono divenuti altrettanti Cristi viventi in mezzo agli uomini? Come depositari della scienza sacra non varrà per loro la scusa dell’ignoranza; come dispensatori dei Sacramenti, canali pei quali le grazie e le virtù divine si spandono sugli uomini, non potranno addurre per pretesto la loro debolezza; come elevati alla più alta dignità che esista sulla terra, infatti partecipi del sacerdozio eterno di Cristo, rivestiti della sua divina autorità sulle anime, non potranno sfuggire al più alto grado di pena quando si rendano colpevoli d’infedeltà e di prevaricazione. E ohimè! purtroppo chi sa a quanti di loro possono applicarsi le terribili parole dell’Apostolo: Hic jam quaeritur inter dispensatores ut fidelis quis inveniatur! (1 Cor., 4, a)
Quanto al Purgatorio ad essi riservato le rivelazioni de’ Santi ci raccontano particolari veramente spaventosi. Suor Francesca da Pamplona, già citata altre volte, dice che ordinariamente i sacerdoti restano in Purgatorio più a lungo dei laici, e racconta di un prete rimasto per lunghi anni in Purgatorio per avere con colpevole negligenza, lasciato morire un giovane senza Sacramenti. Quanto è eccellente la dignità di un sacerdote, quanto gravi sono le sue responsabilità, altrettanto spaventose sono le pene riservategli in Purgatorio qualora trascuri qualcuno dei suoi doveri o si lasci trascinare in una rilassatezza non consona alla sua vocazione.
Al celebre Giovanni da Lovanio furono riservate pene durissime in Purgatorio per aver troppo desiderato le dignità ecclesiastiche e per l’abuso, tanto comune a quei tempi, di aver posseduto più di un lauto beneficio contemporaneamente. Caritatevole come era, aveva fatto grandi doni a molti monasteri, e specialmente a quello di Ruremonde, dove allora era priore il ven. Dionigi Cartusiano, e dove il prelato volle esser sepolto per proseguir quasi a godere in qualche modo la compagnia di quei santi monaci ed usufruire delle loro preghiere.
Or avvenne che durante i suoi funerali il catafalco, che sorgeva in mezzo alla chiesa, fu all’improvviso ravvolto in una nube nerissima, dalla quale uscivano fuoco e fiamme. Lo stupore dei presenti fu immenso, e insieme allo stupore il dubbio che il defunto fosse dannato. Il ven. Dionigi Cartusiano per un anno intero offrì Messe e suffragi per l’insigne benefattore ed amico. Nel giorno anniversario della morte di Giovanni da Lovanio la scena si rinnovò, ma questa volta una nube meno densa avvolgeva il catafalco, e nel di del secondo anniversario, invece della nube, i monaci videro una splendida luce in mezzo alla quale saliva al cielo l’anima del prelato; libera ormai da ogni pena. (Bolland. – Vita Dionysii Carthus. 2 Martii).
Citiamo ancora un esempio che valga ad allontanare gli ecclesiastici dal desiderio delle dignità e degli onori. La B. Giovanna della Croce religiosa francescana aveva conosciuto uno dei più illustri prelati de’ suoi giorni, il quale per molto tempo l’aveva trattata con carità e rispetto singolare, ma poi in seguito ad un avvertimento da lei datogli da parte di Dio per invitarlo a correggersi da alcuni difetti di carattere, se ne offese per modo che cercò di perseguitarla in ogni maniera.
Morì egli, e la Santa, per contraccambiare il male col bene, si pose a pregare per lui con tutto il fervore del suo spirito. Una notte mentre era in orazione, ecco apparirgli il defunto col viso abbattuto e piangente, con una mitra di fuoco sulla fronte, con un pastorale di fuoco in mano, e colle labbra serrate da catene roventi che gli permettevano appena di emettere soffocati singhiozzi. Egli che un giorno andava tanto orgoglioso della sua dignità, trovavasi ora umiliato oltre ogni credere, e in luogo de’ suoi ricchi vestimenti era ricoperto appena da un abito lacero e sozzo: si trovava poi circondato da varie anime che pei suoi mali esempi erano state indotte alla rilassatezza.
Spaventata da quello spettacolo la B. Giovanna domandò al suo Angelo custode se le pene che il misero prelato soffriva fossero d’Inferno o di Purgatorio: – Dio te lo farà sapere a suo tempo, rispose quegli, e non aggiunse altro. – Nonostante questa incertezza in cui era rimasta, ella proseguì i suoi suffragi, e pochi giorni dopo vide comparire di nuovo l’anima del defunto, molestata da pene molto minori, la quale ringraziandola e supplicandola di continuare i suoi suffragi le chiese umilmente perdono della sua ingiusta condotta verso di lei. Giovanna allora si pose all’opera con maggior impegno di prima, e poco tempo dopo ebbe la consolazione di veder quell’anima interamente libera da ogni pena salire al cielo. (Cron. dei Frati Minori, p. IV, lib. 11, capo 18).
Vediamo ora quali sono le colpe che Dio più severamente punisce nei sacerdoti. – Se nei laici la tiepidezza nel divino servizio è riprovevole, che dovrà dirsi dei ministri del Santuario, sul cuore de’ quali ogni mattina riposa il Cuore di Gesù? S. Bernardo parlando della punizione toccata ad uno de’ suoi monaci per esser caduto in questo difetto, racconta che mentre gli si celebravano le esequie, un vecchio monaco di esemplare santità intese un gruppo di demoni tutti allegri e festosi gridare: – Finalmente! anche in questo luogo abbiamo potuto trovare un’anima che apparterrà a noi! – E la notte seguente apparsogli lo stesso defunto e conducendolo sull’orlo di un precipizio pieno di fumo e di fiamme: – Vedi, gli disse, ecco il luogo d’onde i demoni furibondi verso di me hanno da Dio il permesso di lanciarmi continuamente e ritrarmi dall’abisso senza lasciarmi un momento di tregua.
Appena albeggiato, il buon monaco corse a dar notizia della visione avuta a S. Bernardo, il quale durante la notte avendone avuta una simile, convocò immediatamente il capitolo, e colle lacrime agli occhi dato conto a tutti i monaci dello stato del loro confratello, li esortò a pregar vivamente pel suo riposo e a trar profitto dal triste esempio per avanzare con fervore nelle vie delLa perfezione. Una delle più importanti missioni del sacerdote è senza dubbio quella di essere sulla terra il ministro della preghiera della Chiesa. Mentre gli uomini del secolo attendono ai loro lavori, e si contentano appena di un breve ricordo innalzato a Dio mattina e sera, il sacerdote, qual novello Mosè sul monte santo, solleva al cielo per sette volte al giorno il suo pensiero ed il suo cuore, onde la benedizione di Dio scenda copiosa sul popolo eletto. Si rende perciò gravemente colpevole quel sacerdote, che trascura gli obblighi di questo gran ministero di intercessione, o almeno li compie con tal negligenze che la Chiesa resta priva del frutto che dovrebbe ricavarne. Un esempio confacente a quanto diciamo è riferito da San Pier Damiani nella lettera quattordicesima all’abate Desiderio.
S. Severino arcivescovo di Colonia, il quale era stato insignito da Dio del dono dei miracoli, e per la sua vita apostolica, pel suo zelo ardente, per le grandi fatiche sostenute per l’accrescimento del regno divino sulle anime, arrivò a meritare gli onori sublimi della canonizzazione, dopo morte apparve ad uno dei canonici della cattedrale per implorarne suffragi. E poiché questo altamente meravigliavasi di sentire che soffrisse le pene del Purgatorio, ed allegava la vita esemplare da lui menata e il concetto di santo in cui era tenuto dai fedeli, il defunto rispose: – Iddio mi ha fatto, è vero, la grazia di servirlo con tutto il cuore, ma la mia fretta soverchia nel recitare il breviario, ed il farlo talvolta in ore diverse da quelle che la Chiesa prescrive a motivo delle mie grandi occupazioni, mi hanno condotto in questo luogo di pena, e poiché Dio mi ha permesso di venire ad implorare le vostre preghiere, non vogliate, vi supplico, rifiutarmele.
La storia soggiunge che S. Severino restò più di sei mesi in Purgatorio per questa mancanza sì lieve. Il beato Stefano, religioso francescano, essendo solito di passare ogni notte alcune ore davanti al SS.mo Sacramento, vide una volta seduto in uno degli stalli del coro un religioso, col volto nascosto nel cappuccio. Stupito per tal novità, gli si avvicinò, domandandogli che cosa mai facesse lì a quell’ora, mentre gli altri frati riposavano. Al che quegli con voce lugubre rispose: – Io sono un religioso morto in questo monastero e condannato dalla divina Giustizia a far qui il mio Purgatorio, meritato per le numerose negligenze da me commesse in questo luogo stesso nella recita del divino ufficio, e per la tiepidezza e le distrazioni volontarie da me usate nel pregare.
Avendo allora il Beato recitato in suffragio di quell’anima il De profundis e l’Oremus Fidelium, il defunto parve ritrarne gran sollievo. Per molte altre notti poi seguitò ad apparire per eccitare la compassione di lui, finché una volta, dopo la recita del De profundis, Stefano lo vide abbandonare lo stallo con un gran sospiro di soddisfazione in segno che la sua prova era finita (Cron. dei Frati Min., lib. IV, c. 30).