Il presepio nei profili di san Francesco, di sant’Alfonso, di sant’Agostino

San Francesco d’Assisi non si lasciava sfuggire occasione per giubilare l’amore di Dio e tre anni prima della sua morte, nel Natale del 1223, prima di essere stigmatizzato dal Cristo Serafino (il 14 settembre 1224), volle celebrare a Greccio, in Umbria, il ricordo della natività del Bambino Gesù, con la maggiore solennità possibile, per rinfocolarne la devozione, ma perché ciò non risultasse un gesto che potesse essere ascritto come voglia di novità, chiese e ottenne prima il permesso del Pontefice. Le “novità” sono e devono essere un problema per la Chiesa, in quanto essa è un edificio antico e mai nuovo, un edificio che mai si demolisce e mai si ristruttura, ma sempre si restaura perché la sua essenza è sempre uguale a se stessa, altrimenti si autodistruggerebbe, come ebbe a dire Paolo VI il 7 dicembre 1972, in un discorso al pontificio Seminario Lombardo di Roma: «La Chiesa attraversa, oggi, un momento di inquietudine. Taluni si esercitano nell’autocritica, si direbbe perfino nell’autodemolizione. È come un rivolgimento interiore acuto e complesso, che nessuno si sarebbe atteso dopo il Concilio», inoltre, al filosofo Jean Guitton rivelò: «Sta per profilarsi, all’orizzonte, ciò che si potrebbe chiamare il cristianesimo ateo» (Paolo VI segreto, San Paolo, Cinisello Balsamo [MI] 20024, p. 108). Ecco che san Francesco, il restauratore della Chiesa di Roma, non voleva assolutamente che la sua creatività, al servizio della gloria di Dio, potesse ledere le consuetudini della Chiesa stessa e pertanto si accertò e ottenne dal Custode del deposito della Fede, guardiano per eccellenza della cattolicità, il consenso.
Volle far rivivere alla gente quella Santa Notte non come fatto umano, ma per quello che era e che è, un fatto divino, quando il Cielo irruppe nella natura portando la Luce della Grazia: «Et Verbum caro factum est et habitavit in nobis, et vidimus gloriam eius, gloria quasi Unigeniti a Patre, plenum gratiae et veritatis» («E il Verbo si fece uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come dell’unico Figlio che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità», Gv 1, 14).
Insieme alla gente di Greccio volle contemplare la Gloria di Gesù Bambino, lì ed ora, con persone vere e animali veri. E «l’uomo di Dio stava davanti alla mangiatoia, ricolmo di pietà, cosparso di lacrime, traboccante di gioia», come lascia scritto il suo biografo San Bonaventura da Bagnoregio nella Leggenda maggiore. Venne celebrata da frate Leone, fedele amico e segretario di san Francesco, la Santa Messa sopra la mangiatoia. Frate Francesco cantò il passo natalizio del Vangelo e sviluppò la sua predica su Colui che definì il «Bimbo di Betlem».
Il Cavalier Giovanni di Greccio, che aveva abbandonato la milizia civile e si era legato con grande familiarità a san Francesco e che si era a lui rivolto per preparare quell’avvenimento indelebile nella storia, racconterà di aver visto, dentro la mangiatoia, un bellissimo fanciullo addormentato. Racconta ancora lo stesso biografo «che il beato Francesco, stringendolo con ambedue le braccia, sembrava destare dal sonno. Questa visione del devoto cavaliere è resa credibile dalla santità del testimone, ma viene comprovata anche dalla verità che essa indica e confermata dai miracoli da cui fu accompagnata», infatti, da allora, la cristianità prese l’usanza di allestire, nella festività natalizia, il Presepio. Il fieno di quella Santa Notte francescana venne conservato dalla gente del luogo ed ebbe il potere di risanare persone ed animali.
Per rivivere quella nascita che mutò le sorti della Storia e della storia di ciascuna anima esistono la Liturgia, con le sue cadenze temporali e il presepio. Il presepio è elemento fondamentale del Santo Natale, sia per i bambini che per gli adulti, che possono ammirare e adorate, proprio grazie ad esso, Gesù Bambino, provando così – tornando semplici, nella Fede in Cristo, come bambini – a sentirsi parte integrante dell’allestimento stesso; umiliandosi in ginocchio, almeno spiritualmente, davanti alla capanna di Betlemme.
Il presepio costituisce un uso fondamentale del Cattolicesimo. Per piccola o grande che sia, la rappresentazione di quella Notte Santa è immagine plastica della disponibilità, come credenti, a contemplare ed adorare Gesù Bambino. Centro dell’attenzione assoluta del presepio deve essere proprio e soltanto il «Bambino mio divino», il «Caro eletto pargoletto», il «Dolce amore del mio core», il «Ninno mio»… per ricordare alcune espressioni utilizzate dal Dottore della Chiesa sant’Alfonso Maria de’ Liguori nel canto da lui composto, dal titolo: Tu scendi dalle stelle. Poi vengono la Sacra Famiglia e poi tutto il resto. L’ambito dell’allestimento è chiaramente ed unicamente cristiano.
Nel presepio non possono e non devono mai sussistere problematiche o sofferenze umane perché quella Notte deve essere rivissuta non come fatto umano (antropocentrico), ma come fatto divino (il Cielo che irrompe nella natura portando la Luce della Grazia). Contemplare la Sua Gloria significa avere cuori caldi, luminosi, buoni, gioiosi, ecco perché nessuna delle figure (animate, come le pensò e le realizzò san Francesco d’Assisi, o inanimate) del presepio deve essere afflitta e/o piangente, oppure manifestare, in maniera palese o subliminale che sia, angoscia, inquietudine, peccati, privati o sociali.
Il presepio, luogo dell’armonia e della quiete assolute, non può mai e poi mai raffigurare qualcosa di dissonante, proprio perché esso rimembra il momento dell’armonia assoluta in terra nella pienezza dei tempi, quando Gesù venne ad abitare fra noi. Quel tipo di gaudio non sarà mai più replicato fra gli uomini, neppure quando avverrà la Resurrezione di Cristo nel Santo Sepolcro, dove non era presente alcuna persona.
Afferma sant’Agostino: «proclamiamo […] anche noi con cuore pieno di fede e con voce pia: Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà. E meditiamo con fede, speranza e carità queste parole divine, queste lodi di Dio, questa gioia angelica, dopo averla accolta con profondo rispetto. Come infatti ora crediamo e speriamo e desideriamo, anche noi saremo gloria a Dio nell’alto dei cieli quando nella risurrezione del corpo spiritualizzato saremo rapiti sulle nubi incontro a Cristo; purché però, ora che siamo sulla terra, ricerchiamo la pace con buona volontà. Nell’alto dei cieli ci sarà la vita perché ivi è la regione dei vivi; ivi sono i giorni buoni, dove il Signore è sempre lo stesso e i suoi anni non verranno meno. Chiunque vuole la vita e desidera vedere i giorni del bene distolga la sua lingua dal male e le sue labbra non pronuncino inganni […]» (Natale del Signore. Gloria in cielo e pace sulla terra, Discorso 193).