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Il posto che conviene a Dio

Analisi e commenti25 Maggio 2020
Testo dell'audio

In pochi mesi il coronavirus ha contagiato più di cinque milioni di persone, provocando oltre trecentomila morti in 196 paesi e territori. Questa pandemia inaspettata e incontrollabile, non ha provocato solo morti, ma sconvolgimenti sociali e forme di panico sociale. Più ancora della paura della malattia è dilagata la paura del futuro, con sentimenti di frustrazione e di rabbia verso eventi che hanno sconvolto tutte le abitudini. Così se per alcuni il tempo del coronavirus è stato un’epoca di preghiera e di raccoglimento, per molti altri è stato un periodo di amarezza e di inquietitudine. Ma quella che potremmo definire l’era del coronavirus non è terminata e bisogna cercare di viverla con una profonda pace nel cuore.

Il principio da cui partire è che Dio è l’autore di ogni cosa, al di fuori del peccato, e fa tutto con perfetta saggezza. La saggezza dell’uomo consiste a sua volta nel conformarsi alla volontà di Dio, che si manifesta in ogni luogo dello spazio e in ogni momento del tempo.

Dobbiamo conformarci alla volontà di Dio – dice un grande autore spirituale, il padre Jean-Baptiste Saint-Jure – in tutte le calamità pubbliche, quali la guerra, la carestia, la peste, riverire e adorare i suoi giudizi con profonda umiltà e per quanto ci possano sembrare rigorosi, credere con assoluta sicurezza che questo Dio di assoluta bontà non ci invierebbe simili flagelli se da essi non risultassero dei grandi beni” (La Divine Providence, Editions Saint-Paul, Versailles 1998, p. 64 ).

Tutti i capelli del nostro capo sono contati (Mt, 10, 30) e non ne cadrà uno solo se non per volontà di Dio (Lc, 21, 18). Nulla di male potrà dunque accaderci che non sia voluto o permesso da Dio. Anche nelle epoche di calamità pubbliche e sconvolgimenti sociali Dio ci protegge e ci assiste e noi dobbiamo propiziarci la sua protezione con una imperturbabile tranquillità dell’anima.

“Una assoluta imperturbabilità! Ecco il vero stato del vero cristiano” dice dom Francesco Pollien (Cristianesimo vissuto, Edizioni Fiducia, Roma 2017, p. 121). La pace cristiana è una pace che nulla turba, nulla altera, nulla interrompe, nella gioia e nel dolore, nei successi e nelle avversità. Per il cristiano solo una cosa ha valore: la volontà di Dio. L’uomo inquieto è quello che ha perduto il riposo dell’anima ed è perciò senza quiete.

L’ abbiamo visto nei giorni del coronavirus. L’uomo inquieto è quello che vede nell’epidemia un nemico invisibile e oscuro che minaccia il suo futuro. L’uomo inquieto sente un pericolo che lo minaccia, un pericolo imprevisto di fronte a cui non si sa come difendersi, e da cui nasceranno nuove sciagure, come se Dio non fosse capace di ordinare ogni male al bene. L’uomo inquieto vede nelle calamità pubbliche la cospirazione degli uomini, ma non la mano di Dio, e il demonio spinge l’uomo all’agitazione per sottrarlo all’azione divina e gettarlo in preda alle iniziative umane.

Oggi tutti dibattono su quale sia la migliore scelta, se “Morire di coronavirus o di fame». Chi vuole evitare la morte per coronavirus difende le drastiche misure del governo per tutelare la salute dei cittadini; chi teme la morte per fame, come conseguenza del crollo economico della società, vorrebbe abolire queste misure restrittive per rilanciare l’economia. Il dilemma è tra una quarantena che tutela la salute ma danneggia l’economia, e una liberalizzazione dei movimenti che avvantaggia l’economia ma rischia di danneggiare la salute. La soluzione però non sta tanto nel cercare una soluzione intermedia tra le due posizioni, quanto nel cambiare completamente l’alternativa. Dovremmo chiederci infatti se vogliamo morire, mettendo Dio in quarantena, o se vogliamo vivere, restituendo a Dio il suo posto nella società.

Mettere Dio in quarantena significa chiudere le chiese, sopprimere le messe, eliminare ogni forma di rispetto e di riverenza al Santissimo Sacramento maneggiando l’Eucarestia con i guanti e imponendo ai fedeli di riceverla nelle mani. Restituire a Dio il suo posto nella società significa tributargli il culto che gli è dovuto, ristabilendo la comunione in bocca e in ginocchio, e lasciando piena libertà di celebrazione delle cerimonie religiose. Ma significa soprattutto, ricordare che Dio ha un’assoluta priorità. Egli deve passare prima della nostra vita fisica, e deve essere al primo posto nelle idee, nelle leggi, nei costumi, Se ciò non accade il mondo piomba nel disordine. Dilemmi tragici, come la scelta se morire di peste o di fame, sono la conseguenza di chi rifiuta di dare a Dio il posto che gli conviene nella vita degli individui e della società.

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