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Il Nicaragua festeggia la rivoluzione e dimostra che il comunismo non è morto

Zoom: una notizia alla settimana26 Luglio 2023
Testo dell'audio

Lo scorso 19 luglio l’FSLN-Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale ha celebrato i 44 anni trascorsi dalla vittoria della rivoluzione in Nicaragua con conseguente deposizione del regime di Anastasio Somoza Debayle. In realtà, c’è ben poco da festeggiare… A guidare le danze è stato il presidente in carica, Daniel Ortega, colui che, di fatto, sta ripercorrendo esattamente gli stessi passi tanto deprecati nel suo predecessore, tanto da spingere l’autorevole quotidiano spagnolo Abc, lo scorso 19 luglio, ad accusare il dittatore nicaraguense di essersi ormai trasformato «in ciò che tanto odiava».

Come? Sfruttando il potere assoluto e gestito col pugno di ferro, assieme alla moglie, Rosario Murillo, si è arricchito senza ritegno; usa il governo antidemocratico per perseguitare, incarcerare ed esiliare qualsiasi dissidente, come il caso del vescovo Rolando Álvarez tristemente insegna; novello Diocleziano, lui, che ha studiato dai Gesuiti prima ed in Università Cattolica poi, sogna oggi di azzerare la Chiesa nel Paese, arrestando o sequestrando sacerdoti, ordinando la chiusura della Caritas e degli Atenei cattolici e cancellando numerose organizzazioni religiose. Gli ultimi casi – ma solo in ordine di tempo… – riguardano l’associazione «Casa Ave Maria», la Fondazione «Fraternità Poveri di Gesù Cristo» e l’associazione «Figlie di Santa Luisa de Marillac nello Spirito Santo», di cui, dopo decenni di operosa ed apprezzata attività, il ministero dell’Interno ha annullato la personalità giuridica e confiscato tutti i beni per una generica, ridicola, pretestuosa «non conformità alle leggi».

Con lo stesso criterio, Ortega ha imbavagliato la stampa: decine di media hanno chiuso i battenti, altri – come il prestigioso quotidiano La Prensa – sono stati totalmente acquisiti e le redazioni sono state “occupate” da uomini fedeli al regime -, mentre centinaia di giornalisti sono fuggiti dal Nicaragua (alcuni di loro non prima, però, di aver saggiato il rigore delle patrie galere). È stata persino espulsa la Croce Rossa nicaraguense con relativa confisca di tutti i suoi beni, per rappresaglia rispetto all’assistenza medica ch’essa garantì a quanti rimasero feriti nella dura repressione governativa del 2018, repressione che provocò oltre 300 morti.

Il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite sta indagando sul regime di Ortega, accusato di arresti arbitrari, stupri e torture; non è peraltro piaciuto ai leader dell’Unione Europea e della Celac-Comunità degli Stati dell’America Latina, che il Nicaragua – assieme ad altri due Paesi comunisti, Venezuela e Cuba – si sia rifiutato di firmare una pur prudentissima dichiarazione finale congiunta di condanna dell’invasione russa in Ucraina. Nulla di strano: tra Stati “rossi” l’intesa è totale, inossidabile. Basti pensare come, in un comunicato diffuso lo scorso 19 luglio proprio per il 44° anniversario della rivoluzione nicaraguense, l’associazione «Italia Cuba», dopo aver definito «dittatore sanguinario» Somoza al soldo del «potere imperiale» espresso dagli Stati Uniti “cattivi” «per portare avanti la più feroce repressione», abbia esaltato «la storica e solida amicizia», che ora lega «la Cuba di Fidel Castro ed il Nicaragua del presidente Daniel Ortega». Tra “compagni” ci si capisce… Ma, mentre nelle sedi istituzionali si filosofeggia, oltre 600 mila cittadini nicaraguensi su una popolazione complessiva di neanche sette milioni di persone -, tra il 2018 ed il 2022 hanno dovuto lasciare la propria Patria.

Non è onesto sostenere – come tanti incredibilmente fanno – che il comunismo sia morto, poiché falso è illudersi che un simile movimento ideologico su scala planetaria possa corrispondere esclusivamente alle pietre cadute dal muro di Berlino. Il comunismo c’era prima ed è rimasto dopo. Anzi, è vivo e vegeto in molti, troppi Stati nel mondo, esplicito o camuffato che sia, ed ha il volto di sempre, quello di dittature crudeli, spietate, violentemente repressive e totalitarie.

Il Nicaragua lo dimostra. Qui, con la rivoluzione sandinista sarà cambiata l’orchestra, ma non la musica. E v’è solo da sperare che, come finì un regime, ora finisca anche l’altro e che il Nicaragua possa finalmente essere un Paese civile. A tutti gli effetti.

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