Il Natale delle due Terese

Non vi è cosa che riesca più difficile al cosiddetto cattolico “adulto” quanto esercitarsi nelle piccole virtù, nel silenzio e lontano dagli sguardi umani, avendo per testimone Dio solo. Non senza ragione il Signore volle darci il Suo esempio, affinché più facilmente potessimo seguire questa via. Ecco perché è necessario tenere i nostri occhi per tutta la vita fissi sugli «abbassamenti di Betlemme». A questa scuola fu istruita la grande riformatrice del Carmelo, santa Teresa d’Avila, e ad essa volle che attingessero i figli e le figlie del Carmelo.
Si racconta nella vita della Santa che un giorno, nel monastero dell’Incarnazione di Avila, mentre stava scendendo le scale, incontrò un bel bambino che le sorrideva. La Santa, sorpresa di vedere un bambino all’interno della clausura del Monastero, gli chiese: «E tu chi sei?». Ma il bambino rispose con un’altra domanda: «E tu chi sei?». La Santa replicò: «Io sono Teresa di Gesù». Il Bambino, con un sorriso ampio e luminoso, le disse: «Io sono Gesù di Teresa».
A questo emblematico episodio si può far risalire la speciale devozione che la grande Riformatrice del Carmelo ebbe per l’Infanzia del Signore. In tutte le sue fondazioni non mancarono mai le statue di Gesù Bambino, delle quali la Santa ere particolarmente devota. Si tramanda che ne avesse diverse. Aveva, per esempio, un Bambino al quale ricorreva quando desiderava che piovesse o non piovesse; un altro a cui si rivolgeva quando doveva pagare dei debiti e non sapeva come fare e così via. Ognuno dei “suoi” Bambini aveva il proprio compito!
Voleva, inoltre, che le austerità del Carmelo durante il tempo natalizio fossero temperate e rallegrate con canti di esultanza e pie ricreazioni. Non solo. Per accrescere la gioia spirituale delle monache, la Santa soleva comporre versi da cantare, portando in processione le statue della Madonna e di san Giuseppe attraverso il monastero. Una volta insegnò alle monache più anziane a cantare il ritornello di un canto da lei composto, che diceva: «Destatevi, Sorelle mie! Ecco viene la Vergine, che ha dato alla luce il suo Figlio e suo Dio». Piena di devozione e di gioia, la Santa chiedeva alle suore di dare ospitalità al Divin Bambino, alla Sua Santa Madre e al suo sposo san Giuseppe, di cui era particolarmente devota.
La devozione della Santa per il Divin Infante fu anche testimoniata da un miracolo, avvenuto nel Carmelo di Toledo, dove la statua del Piccolo Gesù – portata dalla Santa stessa in occasione della fondazione di quel monastero nel 1569 – pianse, quando la grande Riformatrice dovette lasciare la struttura. Così è scritto nel museo, che qui custodisce questo tesoro: «Il giorno 8 giugno 1580, Santa Teresa si congedava dalle sue religiose di Toledo per recarsi a Segovia. Il cuore naturalmente affettuoso della Santa soffriva molto in questi congedi, soprattutto quando pensava che non avrebbe rivisto le sue figlie. Quella volta né lei né le sue amate religiose si sbagliavano, perché tutte presentivano che la Madre fosse giunta al termine del suo viaggio terreno. Secondo una pia tradizione, perfino un’immagine del Bambino Gesù si associò al dolore delle monache, versando lacrime quando la Santa abbandonò il suo amato convento di Toledo. Da allora questa immagine viene chiamata con il soprannome affettuoso di ‘Niño Lloroncito’».
L’ascesa verso il monte della perfezione iniziò per la piccola Teresa in tenera età. Ma fu nel Natale del 1886 che, accogliendo nel suo cuore il Dio fattosi uomo, questa tenera fanciulla, che, come scrisse ella stessa, piangeva per dei nonnulla, sperimentò un radicale «cambiamento» della sua vita o, piuttosto, quella che definì la sua «completa conversione». «In un istante – scrisse – l’opera che non ero riuscita a fare in dieci anni, Gesù la fece accontentandosi della mia buona volontà». Era la notte di Natale. Dopo la Messa di mezzanotte, nella quale aveva «avuto la felicità di ricevere il Dio forte e potente», «Gesù, il Bambino piccolo e dolce, trasformò la notte dell’anima mia in torrenti di luce». Ripensando a quel momento, Teresa scrisse: «In quella notte, nella quale Gesù si fece debole e sofferente per mio amore, Egli mi rese forte e coraggiosa».
Il suo nome, Teresa del Bambino Gesù, che scelse fin dall’età di nove anni, resterà il suo costante programma di vita a cui si sforzò di restare fedele fino all’epilogo della sua breve vita. Più tardi, sotto un’immagine di Gesù Bambino, scrisse questa frase: «O piccolo Bambino, mio unico tesoro, mi abbandono ai tuoi divini capricci, non voglio avere altra gioia che quella di farti sorridere. Imprimi in me le tue grazie e le tue virtù infantili, affinché il giorno della mia nascita al Cielo, gli angeli e i santi riconoscano nella tua piccola sposa: Teresa del Bambin Gesù». È dal Bambino di Betlemme che la piccola Teresa attinse lo spirito d’infanzia, che era per lei soprattutto spirito d’umiltà e di piccolezza. Non perdeva occasione nella sua vita quotidiana al Carmelo per esercitarsi in questa «piccola via» e per istruirvi le altre.
Ecco come la sorella Celina ha sintetizzato questa «via diretta per il Cielo». Poiché la Santa si sentiva incapace di percorrere il duro cammino della perfezione, si sforzò di diventare sempre più piccola, affinché Dio si prendesse completamente cura delle sue cose e la prendesse tra le sue braccia, come succede nelle famiglie per i bambini più piccoli. Voleva essere santa, ma senza diventare grande, poiché, come le piccole malefatte dei bambini non fanno adirare i genitori, così le imperfezioni delle anime umili non possono offendere gravemente il buon Dio e gli errori non saranno imputabili loro come colpa, secondo le parole della Scrittura: «Ai piccoli si perdona per pietà».
Insegnava questa sapienza alle sue consorelle specialmente nel giorno di Natale, quando – sull’esempio della sua Santa Madre – si industriava a scriver poemetti e ad organizzare pie ricreazioni, come quella nella quale un immaginario angelo veniva a chiedere a ciascuna monaca di accogliere il Piccolo Gesù, che, fattosi uomo, ha trovato sulla terra solo freddezza e indifferenza: «Le vostre carezze – cantava il messaggero celeste – e lodi e tenerezze siano per il Bambinello! Bruciate d’amore, anime accese; ché un Dio s’è fatto mortale per voi. Stupendo mistero: chi vien mendicando è l’eterno Verbo! Sorelle mie, non temete, avvicinatevi, ed una ad una offrite a Gesù il vostro amore; saprete la sua santa volontà. V’insegnerò ciò che più brama il Bambinello in fasce, a voi che, pure come gli Angeli, avete in più che potete soffrire. Sempre il vostro patire, e le gioie siano per il Bambinello! Ardete d’amore, anime accese; ché un Dio s’è fatto mortale per voi. Stupendo mistero; chi vien mendicando è il Verbo eterno!».
Certamente, notò Celina, Teresa avrebbe gustato, se l’avesse conosciuta, questa preghiera di mons. Jacques Bossuet: «Gran Dio, non lasciate giammai che alcuni spiriti, di cui alcuni si annoverano tra i dotti, altri tra gli spirituali, possano essere accusati al Vostro terribile tribunale di aver contribuito in qualche modo a chiuderVi l’accesso in non so quanti cuori, perché Voi volevate entrarvi in un modo la cui semplicità li urtava; piuttosto fate in modo che, diventando tutti piccoli come fanciulli, come Gesù Cristo comanda, noi possiamo entrare una buona volta per questa piccola porta, per poterla poi mostrare agli altri con più sicurezza e con più efficacia. Così sia».
Niente di strano nel fatto che, alla sua ultima ora, questo grande prelato francese, che con la sua eloquenza aveva incantato intere platee, abbia pronunciato queste commoventi parole: «Se potessi ricominciare a vivere, non vorrei essere che un piccolo fanciullo, che dà sempre la mano al Bambin Gesù».
Questo testo di Cristiana de Magistris è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it