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Il fine “escatologico” del PCI

Storia19 Marzo 2021
Testo dell'audio

Il Partito Comunista Italiano non è mai stato – ma soprattutto non ha mai pensato sé stesso – come gli altri partiti. Quale parte di un più vasto movimento rivoluzionario internazionale, il PCI, fin dall’inizio, si è dato una finalità ben maggiore, che potrebbe dirsi addirittura “escatologica”, sebbene sui generis, in quanto non oltre, ma immanente alla storia. La “diversità” comunista, sempre rivendicata, non è mai consistita, se non per il volgo, nella mera affermazione della propria onestà politica, bensì si è radicata in un motivo diverso di totale e altera superiorità “morale”. Il partito, nella coscienza dei suoi dirigenti e dei suoi quadri superiori, non è esistito banalmente per conquistare il potere, ma come avanguardia di un’umanità nuova, fondatrice di un mondo nuovo, “salvato” e perciò definitivamente felice.

La Rivoluzione comunista, dunque non va confusa né con i moti di piazza, né con l’assalto armato al potere. Questi sono mezzi eventuali e rozzi. Essa si propone, secondo la lezione del pensatore e uomo politico sardo Antonio Gramsci, né più né meno che la mutazione radicale della mentalità e del senso comune degl’italiani, giudicati alienati dalla propria tradizione, religiosa e nazionale. La rivoluzione del PCI si è compresa come essenzialmente culturale ed è proprio in questo campo, che ha mietuto i suoi successi.

Il “pregiudizio favorevole”, che certamente condiziona parte della storiografia sul PCI, si estende all’opinione diffusa, anche in alto loco, che lo riguarda. Provare perciò a capire come fosse davvero il PCI e cos’abbia fatto, quale sia cioè l’impronta, che ha lasciato nella storia d’Italia, corrispondente alla sua natura, sembra tutt’altro che inutile. Perché, come sosteneva lo scrittore Giovanni Cantoni, «chi sbaglia storia, sbaglia politica». Quindi, scrutare nel passato recente della nostra storia il ruolo che vi ha svolto un soggetto come il PCI può aiutare a comprendere meglio l’azione dei suoi “eredi” – che, se hanno rinunciato a qualcosa del loro punto di vista ideologico, non hanno rinunciato al relativismo –, e può essere utile per meglio decifrare il presente.

Nessun discorso sul PCI può prescindere dal fatto ch’esso sia stato – fino all’ultimo – componente attivo e protagonista del movimento comunista internazionale, il cui orizzonte strategico è stato ispirato dalla nota massima marxiana – un vero e proprio “principio” -, secondo cui «i filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo». Cioè esso rifiuta la natura umana e tenta, con una smisurata volontà di potenza, di modificarla radicalmente mediante stampi sociali d’un “superuomo”, che non abbia più bisogno di Dio, della patria, della famiglia, della proprietà.

Il PCI non ha mai dato alla sua azione politica una prospettiva minore. Infatti, l’URSS è stata proposta come autentica metafora del paradiso in terra: «La parola “Stalin” e, l’altra, “URSS” valevano come una metafora laica del paradiso cattolico», come scrive lo storico Giuseppe Carlo Marino. Ma, alla scuola di Antonio Gramsci – che aveva capito, soprattutto dopo l’esperienza spagnola (la Cruzada, 1936-39, che fermò il comunismo), che nei Paesi di alto sviluppo religioso-culturale e stratificazione sociale non si poteva fare “come in Russia”, bensì occorreva radicarsi e conquistare un’egemonia culturale –, il PCI esclude la scelta insurrezionale, che diventa una subordinata eventuale e non per ragioni di principio o etiche, ma perché giudicata inadeguata alla realtà italiana ovvero perdente. È lo stesso Stalin, che temeva in particolare una rivoluzione prematura, ad ordinarlo. Intanto, la scelta legalitaria e democratica consente al PCI di “firmare” la Costituzione repubblicana, attuando ante litteram il disegno, che sarà enunciato trent’anni dopo dall’allora segretario del partito, Enrico Berlinguer, per l’ordine giuridico-economico: «introdurre alcuni elementi, fini, valori, criteri propri dell’ideale socialista».

 

Questo testo di Giovanni Formicola è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it

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