I Veneziani a Lepanto

La Repubblica di San Marco, che, sia per i suoi territori lungo l’Adriatico e le isole dell’Egeo, sia per i commerci lungo tutto il Mediterraneo, si trovava ad essere fra le più esposte alle scorrerie turche, aderì subito all’appello. Pertanto mise a disposizione della flotta crociata ben 215 unità navali di varie dimensioni e utilizzo. Sappiamo che, in quanto considerata di vitale importanza per la Repubblica, da sempre la marina veneta era di stretta competenza del Senato. Infatti, come evidenziato da Mario Nani Mocenigo, risulta che tutte le decisioni relative alla flotta, al suo armamento, alle artiglierie, all’arsenale, al personale venivano sempre prese dal Senato.
Cuore della marina era l’arsenale, già citato da Dante nel XXI canto dell’Inferno. Per verificarne il funzionamento, il Doge stesso doveva visitare frequentemente l’arsenale, diretto da tre Provveditori, mentre altre magistrature controllavano la confezione dei cavi, la produzione della canapa ed i boschi demaniali.
In caso di guerra il Dogado, ovvero il territorio più antico della Repubblica, doveva provvedere ad equipaggiare anche fino a 50 galere; le rimanenti venivano fornite dalla terraferma, dalle città e isole dell’Istria, della Dalmazia, dalle Isole ioniche e da Candia. A differenza di quanto avveniva per le forze di terraferma, era il Maggior Consiglio a nominare i patrizi destinati a prestare servizio nella flotta e a comandare le diverse unità navali.
Per la spedizione contro i Turchi il Senato nominò «Capitano Generale da Mar» Sebastiano Venier, già Provveditore a Corfù, noto per il suo forte carattere e le sue capacità decisionali.
La flotta veneziana era costituita da unità di vario tipo, tra cui spiccavano sei galeazze: erano potenti navi da guerra di nuova concezione, lunghe 50 metri, con tre o quattro vele, in grado di ospitare fino ad una novantina di rematori.
Ognuna era munita di numerosi pezzi di artiglieria collocati sul ponte di coperta, garantendo la peculiarità, unica all’epoca, di poter effettuare anche tiri laterali. Venezia mise le sei galeazze al centro e in prima fila dello schieramento della squadra cristiana, guidata da don Giovanni d’Austria, ufficialmente comandante dell’intera operazione militare.
Determinante fu l’apporto veneziano anche sul piano decisionale, perché fu l’energica presenza del Comandante Generale Venier a spingere all’azione il giovanissimo e titubante don Giovanni d’Austria, impegnando la flotta cristiana in aperta battaglia. Al momento dell’attacco fu notevole lo sconcerto di Alì Pascià nel trovarsi di fronte ad un numero di navi ben superiore alle informazioni avute, alla barriera centrale delle sei galeazze e soprattutto allo schieramento di pezzi di artiglieria.
Pur accolto con tutti gli onori al ritorno vittorioso a Venezia, Venier si oppose alla stipula del trattato di pace, arrivando ad offrire tutto il suo patrimonio, purché continuasse la guerra fino all’eliminazione del pericolo turco. In questa giornata Venezia salvò il suo dominio e, insieme, la Cristianità. La minaccia turca sul mare era stroncata, ma il suo tentativo di penetrazione nei Balcani continuò fino a quando giunse ad assediare Vienna nel 1683, dopo aver conquistato i resti del dominio veneto nell’Egeo.
Questo testo di Alberto Lembo è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it