I Padri dell’Oriente (Parte II)

In una poesia sulla dedicazione di una nuova chiesa, composta dal vescovo siriano (chorepiscopus) Balaeus (prima del 431), si legge: “In trono nella Sua casa è il Signore, in attesa di noi che possiamo entrare e implorare la Sua misericordia. Non è una dimora ordinaria, ma un cielo sulla terra, perché il Signore del cielo vi risiede. Al posto degli angeli, si vedono i santi sacerdoti che in esso servono la Divinità. L’altare è preparato, avvolto nella verità; davanti ad esso sta il sacerdote e accende il fuoco. Egli prende del pane, ma dona il Corpo; riceve del vino, ma distribuisce il Sangue. L’altare di pietra sostiene la nostra Speranza, il semplice sacerdote invoca lo Spirito Santo, i fedeli riuniti si uniscono nel Sanctus, il Re lo ascolta e permette alla Sua misericordia di riversarsi. Sulla terra sta l’altare che porta il Suo Corpo, e nel Suo regno celeste Egli dispensa vita e gloria eterna”.
Isacco di Antiochia († tra il 459 e il 461) in un poema “Sulla Fede” canta: “Ho visto il vaso mescolato della fede, che è stato riempito di sangue invece che di vino; e invece del pane è stato posto sulla tavola il corpo ucciso. Vidi il sangue e rabbrividii; il corpo sacrificato e il terrore mi afferrò“.
Secondo Didimo “il Cieco” di Alessandria († attorno al 395), l’Eucaristia è quel Sacrificio incruento celebrato ogni giorno in tutto il mondo. “Di ciò che il Signore stesso ha dato e da ogni giorno a ciascuno (il pane e il vino), ognuno riceve il Sacrificio incruento offerto devotamente e santamente”. “Perché celebriamo con fede e riverenza la tanto agognata e accuratamente preparata Pasqua ogni anno, sì, ogni giorno, o meglio ogni ora, nella quale partecipiamo del Suo Corpo e del Suo Sangue? Coloro che sono stati favoriti da questo sublime ed eterno mistero capiscono quel che dico”.
Passaggi molto belli ed espliciti relativi all’Eucaristia si trovano negli scritti di S. Cirillo, Vescovo di Gerusalemme († 386 ). Nella Quinta Lettura Mistagogica, egli tratta del Sacrificio della Messa. In essa egli istruisce i nuovi battezzati e spiega loro i punti principali circa il rito della Messa della Chiesa di Gerusalemme, cioè la Liturgia dell’Apostolo S. Giacomo. Egli chiama il tempo del Sacrificio “un’ora sublimemente terribile“, in cui, soprattutto, il nostro cuore dovrebbe essere elevato a Dio.
La Messa è “un sacrificio santo e tremendo“, “un mistero santo“, “un sacrificio di riconciliazione” – un sacrificio offerto per i nostri peccati e per tutte le nostre intenzioni, per i vivi e per i morti. “Dopo questo sacrificio spirituale (= mistico, sacramentale), si compie questo culto incruento di Dio (= dopo la vera azione sacrificale, la Consacrazione), su questo Sacrificio di riconciliazione imploriamo Dio di concedere la pace universale alle chiese. . . . e all’unisono preghiamo e offriamo questo Sacrificio per tutti coloro che sono nel bisogno“.
Per tutti noi (= nella Comunione della Chiesa), che abbiamo già lasciato questa vita, preghiamo, credendo che queste richieste saranno di maggior beneficio per le anime per le quali sono offerte, mentre questo santo e sublime Sacrificio è presentato sull’altare. Per i defunti, offriamo Cristo ucciso per i nostri peccati, in quanto riconciliamo questo Dio benefico con loro e con noi stessi.
Gregorio di Nazianzo († attorno al 390) traccia con attenzione una distinzione tra il sacrificio in senso stretto, che solo il sacerdote può offrire, e il sacrificio in un senso più ampio, che tutti i fedeli possono e devono presentare. Il sacrificio interiore, l’abnegazione, lo spirito di auto-immolazione, è un requisito necessario per il sacerdote, al fine di offrire degnamente il sacrificio dell’altare.
“Poiché non ero ignaro” – così dice – “che nessuno è degno del grande Dio, nostra Vittima sacrificale e Sommo Sacerdote, se non ha egli stesso presentato in precedenza un sacrificio vivente e santo al Signore, e reso a Lui un adeguato ed accettabile servizio, se non ha precedentemente offerto a Dio un sacrificio di lode e un cuore contrito, gli unici doni che il Dispensatore di tutti i buoni doni ci richiede; come ho osato offrirgli il Sacrificio visibile, l’immagine dei grandi misteri?
Come ho potuto osare portare il nome e la dignità di sacerdote, prima di santificare le mie mani con buone opere, prima di abituare i miei occhi a considerare le cose create nel modo giusto, con l’ammirazione del Creatore e non guardando alla rovina della creatura?“