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Gli atti umani

Teologia Morale08 Marzo 2023
Testo dell'audio

 

Mentre fin qui abbiamo considerato i princìpi estrinseci della moralità, quelli che la determinano dal di fuori, e cioè il fine ultimo e la legge, ora studieremo ì princìpi intrinseci, interiori al soggetto della legge. Tra questi princìpi, uno (la volontà libera) specifica gli atti umani nel loro essere fisico, altri (moralità oggettiva e soggettiva) li specificano nel loro essere morale, e altri (imputabilità, merito e demerito, virtù e vizi) determinano, infine, le proprietà e le conseguenze.

 

Come sappiamo l’atto umano, considerato nella sua essenza fisica, è un atto compiuto dall’uomo e che all’uomo appartiene in proprio e lo specifica; è, dunque, un atto che procede da una volontà libera. Questa definizione è però assai generica ed esige diverse precisazioni relative sia alla natura e alle condizioni d’esercizio della volontà libera,  che alle influenze che possono limitarne l’ampiezza e l’efficacia.

 

Riassumiamo qui i dati della psicologia della volontà, aggiungendo le precisazioni richieste dal punto di vista morale.

 

CONDIZIONI DELL’ATTO VOLONTARIO – La volontà è la facoltà per la quale l’uomo possiede se stesso ed è signore dei suoi atti; consiste essenzialmente nel potere di autodeterminazione in presenza di un fine. La volontà conviene solo all’uomo; l’animale invece, persegue il suo fine senza conoscerlo come tale: ne viene determinato, più che non si determini da sé.

La volontà è determinata dal suo oggetto e, per conseguenza, il principio primo del suo atto non è in noi, ma nel bene che ci attira; osserviamo che se la volontà si determina effettivamente in ragione di un impulso esterno, esso ne condiziona il movimento, senza però necessitarlo o misurarlo. Impulso e movimento volontario non sono della stessa natura: il movimento della volontà procede dall’anima sollecitata dal suo oggetto e non dall’oggetto stesso, ed è a un tempo spontaneo, in quanto sorge da un principio interno, e libero, non essendovi un rapporto di necessità tra l’impulso che ci viene dall’oggetto e il movimento della volontà.

 

Questa è la differenza che c’è tra l’animale domestico e l’uomo: il primo è normalmente necessitato dalla propria natura a mangiare, non potrebbe fare diversamente; se non mangia non è perché “non vuole” mangiare, ma semplicemente perché ha qualche problema che istintivamente lo tiene lontano dal cibo (per esempio, mal di stomaco). L’uomo invece può voler mangiare oppure non voler mangiare, perché l’atto del mangiare procede dalla sua libera volontà, non è necessitato. Prova ne è che l’uomo, a differenza dell’animale domestico, può decidere liberamente di digiunare, anche quando è in salute.

 

Qui parliamo evidentemente della volontà come facoltà; essa sola è capace di libertà. La volontà come natura, al contrario, agisce come un istinto, totalmente determinata e necessitata dal suo oggetto, che è il bene in generale. Nello stesso senso i teologi osservano che la volontà, messa in presenza del sommo bene nella visione beatifica, non potrà non desiderarlo e non amarlo: in questo caso non c’è più una volontà libera, propriamente detta, perché la volontà risulta adeguatamente determinata dal suo oggetto. Tuttavia sussiste ancora una volontà e si potrebbe dire che essa esercita una libertà eminente, volgendosi con una spontaneità perfetta verso l’oggetto che solo risponde in modo assoluto alla sua naturale tendenza al bene.

 

Vediamo ora la divisione di ciò che è volontario.

 

  1. a) Atti eliciti e atti imperati. L’atto umano procede dunque essenzialmente dalla volontà libera: se immediatamente, si dice che è elicito (actus elicitus). È chiaro però che tutti gli atti umani non procedono immediatamente dalla volontà: molti sono esercitati per mezzo di altre facoltà (studiare, parlare, camminare, ecc.) e dipendono solo mediatamente dalla volontà: si dice allora che sono imperati da essa (actus imperatus). Il Mausbach pone come esempi di atti eliciti l’amor di Dio e il pentimento spirituale).

 

Questa distinzione tra atti eliciti e atti imperati è di grande importanza; infatti è evidente che solo gli atti eliciti sono sempre e per definizione degli atti umani, perché la volontà libera è inalienabile. La costrizione, la violenza, la paura, invece, fanno presa sulle altre facoltà (immaginazione, memoria, potere d’agire e di parlare ecc.): i loro atti possono essere coatti in diversi modi e gradi. Non possono dunque essere considerati umani se non quegli atti comandati o consentiti dalla volontà libera.

 

  1. b) Atto direttamente o indirettamente volontario. L’atto è detto direttamente o indirettamente volontario, se è voluto per se stesso o soltanto come effetto previsto d’un atto direttamente voluto. Per essere responsabili di un atto volontario indiretto, occorre non solo che l’atto sia previsto, ma che si sia obbligati ad impedirlo. (L’uomo che si getta in acqua per salvare un bambino che annega, può prevedere la sua propria morte, senza che si possa parlare di suicidio).

 

  1. c) Atto volontario puro e misto. L’atto volontario è misto o puro, se comporta o no un’inclinazione contraria inefficace. Si può portare come esempio del tipo misto l’atto del capitano di vascello che affonda la sua nave per impedire che sia catturata dal nemico.

 

Il Mausbach, a tale riguardo, afferma che qui ci si riferisce a decisioni della volontà, che vengono prese con una certa riluttanza, che sono volute sotto un certo aspetto, mentre non sono volute sotto un altro. L’atto volontario puro, è ciò per cui la volontà si decide nonostante una riluttanza, per es. uno si decide a fare un’operazione, nonostante preferisca evitarla. Il volontario misto (secundum quid) è ciò per cui la volontà si decide nonostante una certa preferenza per il contrario, per es. il malato rinunzia a un membro del suo corpo da recidersi mediante l’operazione: egli di fatto non vuole conservarlo, anche se preferirebbe conservarlo.

 

  1. d) Atto volontario attuale, virtuale, abituale. L’atto volontario è attuale quando dipende dall’influsso attuale della volontà; è virtuale, se dipende dalla volontà in virtù d’un atto posto anteriormente e che continua ad influenzare in qualche modo l’attività del soggetto; è abituale, quando risulta da una decisione presa e non ritrattata. S. Tommaso porta come esempio di atto volontario virtuale l’intenzione del medico di sanare il malato. Questa intenzione lo dirige nella scelta e nell’esame delle erbe medicinali, anche se nel far questo egli non pensa più affatto al fine superiore. Analogamente dura l’intenzione del sacerdote di amministrare il sacramento, durante una lunga permanenza in confessionale, anche se egli è distratto. Invece avrebbe una intenzione abituale un pagano, che ricevesse in stato di incoscienza e di malattia il battesimo, se egli precedentemente ha manifestato il desiderio di riceverlo.

 

Il Mausbach aggiunge a queste tipologie di atto volontario le seguenti:

 

  1. a) Atto volontario necessario e libero: se la volontà è internamente determinata a un atto in particolare in maniera che non può tralasciarlo, allora si ha un volontario necessario, per es. l’amor di Dio nei beati, la tendenza alla felicità nell’uomo. In questi casi la volontà si decide con «necessità interna». Se questa manca, l’atto può essere posto o tralasciato, e allora si tratta di atto volontario libero.

 

  1. b) Atto volontario perfetto e imperfetto: il primo presuppone la piena conoscenza e il pieno dominio della volontà. Il secondo implica una conoscenza e una libertà non piene. Ordinariamente si parla di un atto volontario imperfetto solo nei casi in cui l’uso della ragione è talmente ottenebrato che l’azione non è diretta all’ultimo fine della moralità, ma solo ai beni prossimi e temporali.

 

Nel prossimo podcast, vedremo più nel dettaglio il processo psicologico dell’atto umano, cioè studieremo insieme come effettivamente noi poniamo in essere un atto grazie alle facoltà del nostro intelletto e della nostra volontà. Lo faremo dapprima vedendo la teoria e poi applicandola ad un esempio pratico.

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