Gesù Cristo “Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedek (Parte III)

Le ferite mortali, aperte e profonde, splendono ora come stelle di meravigliosa chiarezza; ed esse annunciano perennemente all’Eterno Padre che una volta il cuore, le mani e i piedi del Suo benamato Figlio furono trafitti e crudelmente martirizzati: esse dicono a voce alta e solennemente che il Salvatore ha versato con estrema abbondanza tutto il Suo sangue per il nostro riscatto. La sofferenza e le piaghe delle ferite del Salvatore trasfigurato appaiono al cospetto del Padre – come la santa mistica Ildegarda scrive – “simili a un’aurora che risplende senza sosta fino alla fine dei tempi”. “Dio vede ogni cosa nel perenne sgorgare del prezioso sangue, simile a un purpureo tramonto che, secondo la Sua volontà, deve sempre librarsi all’orizzonte in tutto il suo splendore” (P. Faber).
Quanto amabile e prezioso dev’essere allora per l’anima nostra il vedere quelle gloriose piaghe delle ferite del Signore! Esse testimoniano che Egli ci ha segnato nelle Sue mani e sepolti nel Suo cuore con segni indelebili; e noi guardiamo con gratitudine a questi segni del martirio perché sono le sorgenti di espiazione eterna e di misericordia, il pegno dei beni celesti e di longanimità. In tutte le tribolazioni e avversità alziamo lo sguardo fiducioso al nostro misericordioso e fedele Sommo Sacerdote in Cielo: il Suo cuore è l’abitazione dell’eterna mitezza, un abisso di amore e compassione. Anche se abbiamo peccato, non dobbiamo scoraggiarci, poiché abbiamo “un intercessore presso il Padre, Gesù Cristo il Giusto che è la riconciliazione per i nostri peccati” (1Giov. 2,2).
La funzione di mediatore e intercessore che l’Uomo-Dio esercita in Cielo davanti al trono di Suo Padre, è una funzione sacerdotale; infatti Egli si presenta in nostro favore, in forza del Suo sacrificio offerto una volta sulla Croce. La Sua intercessione celeste si fonda e si appoggia sui meriti da Lui acquisiti nel Sacrificio cruento ed è perciò un atto sacerdotale: un’intercessione sacerdotale. Dopo aver espiato i peccati del popolo e ottenuto “una redenzione eterna” tramite il sacrificio cruento di Sé stesso, Egli è entrato nel Sancta Sanctorum del Cielo (Ebr. 9,11-12).
Lì Egli compie perennemente il Suo ufficio di Sommo Sacerdote mediante la Sua potente intercessione che ha lo scopo di dare i frutti del sacrificio sulla Croce per la Redenzione dell’umanità, affinché esso ci ottenga la santificazione e la beatitudine. Questa applicazione dei frutti della Croce, per mezzo dell’azione di Cristo in Cielo prolungata nel corso dei secoli, non è tuttavia un sacrificio in senso proprio. Il Salvatore, salito in Cielo, non Si sacrifica, dato che Egli è lì elevato e glorificato, ma è reso presente sull’altare terreno tramite le sostanze sacramentali. Lassù Egli non è nella condizione di un agnello da sacrificio, ma regna sul trono, nello splendore dei santi, come Re dei Re, nell’eccelsa gloria del Vittorioso.
Anche sulla Terra il Salvatore trasfigurato amministra in continuazione l’ufficio sommo sacerdotale, e compie anche un vero sacrificio: infatti, Egli è il Sommo Sacerdote del Sacrificio Che, per mano del Suo servo, opera sull’altare il Sacrificio eucaristico sempre rinnovato. Per questo motivo Egli viene glorificato dai profeti come “Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedek (מַ לַכִּי צ־ֶ דֶ ק .“(In che cosa è dunque Melchisedek “simile al Figlio di Dio” (Ebr. 7,3), cioè prefigura l’eterno Sommo Sacerdote Gesù Cristo? Melchisedek era sacerdote re: il suo nome significa “re di giustizia” e il suo regno è Salem, la “pace”. Cristo è, nella Sua dignità umana e divina, contemporaneamente Sacerdote e Re; e, come autore e fonte di ogni giustizia soprannaturale, anche causa e principio di ogni vera pace nel tempo nell’eternità; infatti, già Davide aveva annunciato che nei giorni del Messia sorgerà la giustizia e la pienezza della pace, finché si spegnerà la luna (Sal. 71,7).