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Francia, un ministro «divisivo»

Zoom: una notizia alla settimana23 Maggio 2022
Testo dell'audio

Dallo scorso 20 maggio, Pap Ndiaye è il nuovo ministro dell’Educazione nazionale e della Gioventù francese.

Storico di professione, padre senegalese e madre francese, Ndiaye si è sempre distinto per il suo impegno volto a favore di una sempre più ampia integrazione della comunità africana sul suolo d’Oltralpe: come membro del Comitato Mbambe, era stato incaricato di ripensare le relazioni tra Africa e Francia, poi ha proposto la creazione di una casa africana a Parigi e di un Fondo per la democrazia, infine ha messo a punto un saggio sulla condizione degli immigrati africani in Francia, valutandone problematiche storiche, antropologiche e sociologiche, a suo avviso in genere trascurate.

La sua nomina a capo dell’Educazione nazionale non è dunque una nomina qualsiasi, bensì è «simbolica», come avverte il settimanale Jeune Afrique. Una nomina volutamente in contrasto con le posizioni «anti-woke» attribuite al suo predecessore, Jean-Michel Blanquer. Ma Ndiaye di «wokismo» o di «islamo-gauchismo» ha dichiarato di non voler nemmeno sentir parlare, pur non facendo mistero delle proprie simpatie a Sinistra, verso l’amministrazione del democratico Biden, ad esempio, tra i cui meriti include anche gli incarichi in posizioni-chiave attribuiti a diversi afroamericani, perché «in politica – ha spiegato Ndiaye – conta la rappresentanza, l’incarnazione di una posizione».

Si dichiara decisamente contro ogni barriera e contro ogni frontiera, punta piuttosto al «vero universalismo», che non fa solo rima con immigrazionismo e con globalismo, benché bocciati dall’ultima pandemia, bensì, in lui, anche con una più complicata esaltazione della diversità, ben rintracciabile nella sua adesione ad organismi quali il Capdiv ovvero il Circolo d’azione per la promozione della diversità ed in documenti come il manifesto Sulla questione razziale all’Opéra nazionale di Parigi, di cui è co-autore, mirato espressamente a «favorire la diversità». Eppure il suo è un «universalismo», che inciampa, ad esempio, in contraddizioni quali la sua partecipazione, il 15 aprile 2016, ad una riunione sulle «questioni di razza» vietata ai bianchi, perché dichiarata «non-mista», neologismo alquanto dubbio e problematico.

A Destra la nomina di Ndiaye a capo dell’Educazione ha suscitato prevedibilmente un finimondo: Marine Le Pen, la leader di Rassemblement National, si è rammaricata dell’incarico affidato ad un «presunto indigenista», mentre la portavoce del partito lo ha definito un «attivista razzista», ritenendo l’assegnazione di tale incarico «un segnale estremamente preoccupante inviato agli studenti francesi». Toni forse un poco sopra le righe, ma v’è da dire che anche quelli cui, in talune circostanze, è ricorso lo stesso Pap Ndiaye non scherzano. Su France Culture, ad esempio, ha bollato il «genio francese» come ciò dietro cui spesso si celerebbe «un universalismo sciovinista, maschio, bianco ed eterosessuale».

L’11 marzo 2021, quando il presidente francese Macron aveva posto Ndiaye a capo del Museo nazionale di Storia dell’Immigrazione, per cancellare le precedenti ombre di simpatie colonialiste, Pap Ndiaye aveva dichiarato di avere come missione quella di «rendere l’immigrazione un elemento centrale della storia nazionale». Il problema però è questo: come considerare le competenze maturate in un campo estremamente specifico e molto particolare quale quello della cosiddetta «Francafrica» un biglietto da visita adeguato, per assumere l’incarico di ministro dell’Educazione nazionale ovvero di un ambito assolutamente diverso e con esigenze totalmente differenti? Quanti altri candidati avrebbero potuto vantare caratteristiche più idonee ai problemi ed alle emergenze del mondo dell’educazione francese, specie in un periodo quale l’attuale, periodo in cui i problemi non mancano? La nomina di Ndiaye, specie in un contesto come questo, non risulta in ultima analisi, come oggi si dice, forzatamente «divisiva» e non «inclusiva» delle reali questioni sul tappeto? In sintesi, perché cercare la provocazione a tutti i costi (e poi lamentarsene)?

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