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Fede e Chiesa in Dante (Parte I)

Arte e Cultura03 Novembre 2021
Testo dell'audio

Non è solo un compendio dell’intera dottrina cristiana, la Divina Commedia rappresenta anche e soprattutto una risposta efficace alle sfide dell’oggi. Lo scrisse già nel 1921 Benedetto XV nell’enciclica In praeclara summorum, in cui si legge: «Noi riteniamo che gl’insegnamenti lasciatici da Dante in tutte le sue opere, ma specialmente nel suo triplice carme, possano servire quale validissima guida per gli uomini del nostro tempo». Ma non solo. Caratteristica del Sommo Poeta è quella di richiamare menti, cuori ed anime alla fede, tanto da spingere il dottor Giovanni Galletto, psicologo e psicoterapeuta, a scrivere un libro di 218 pagine, uscito quest’anno per i tipi di Fede&Cultura, dal titolo quanto mai esplicito, Il Vangelo secondo Dante. Poesia, verità e bellezza nella Divina Commedia. Il richiamo alla fede è così forte in quest’opera che «alcuni, anche recentemente, lontani sì, ma non avversi a Cristo», studiandola, «per divina grazia, prima cominciarono ad ammirare la verità della fede cattolica e poi finirono col gettarsi entusiasti tra le braccia della Chiesa».

Singolare e tale da far riflettere è ciò che Dante, richiamandosi a sant’Agostino, ritiene essere, a buon diritto, il miracolo più grande: «La rapida diffusione del Cristianesimo è già di per sé un miracolo molto più grande dei miracoli narrati, tanto più se si considera che la diffusione avvenne per la predicazione di uomini, gli apostoli, privi di mezzi e di cultura». Ritroviamo con chiarezza questo concetto in Paradiso canto XXIV versi 106-111: «Se il mondo si convertì al cristianesimo senza che coloro che lo predicavano compissero miracoli, questo solo è un miracolo tale, che tutti gli altri non ne sono che una centesima parte; tanto più che tu, o Pietro, povero di mezzi e digiuno di cultura, entrasti nel mondo a spargere la semente della buona pianta, già vite fruttifera e ora ridotta a uno sterile rovo».

Del resto, «per la salvezza è necessaria la fede in Cristo», come scrive Dante: «A questo regno non salì mai chi non credette non Cristo». Non bastano, dunque, né il sapere, né la sola ragione: «La sapienza umana è per sé stessa incapace di intendere e penetrare le supreme verità e abbisogna per tale comprensione della luce della fede», scrive Galletto, richiamando i versi 52-57 del canto XIX del Paradiso del Sommo Poeta: «Dunque la vostra vista intellettuale, che necessariamente è solo un raggio della mente divina di cui tutte le cose sono ricolme, non può di sua natura essere così potente da discernere, penetrare, il principio da cui essa deriva, cioè Dio stesso, molto al di là di ciò che le è sensibilmente percepibile».

 

Questo testo di Luigi Bertoldi è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it

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