Differenza pratica fra peccato mortale e veniale

Avendo chiarito l’intima essenza del peccato grave e veniale, ci domandiamo in quali atti esso si realizza, quando in concreto un peccato appartiene a questa o a quella specie.
Si commette peccato mortale quando si trasgredisce una legge in cosa grave con chiara avvertenza e piena libertà.
Occorre quindi per il peccato mortale:
Una cosa grave, un oggetto importante
Per “oggetto” intendiamo qui non solo l’oggetto in opposizione alle circostanze e al fine concreto, ma tutto ciò che è oggettivo nell’atto per la distinzione di conoscenza e volontà, quindi insieme all’oggetto in senso stretto comprendiamo anche le circostanze esterne e gli scopi concreti dell’agire.
- Evidentemente oggetto importante sono lo stesso sommo bene, Dio e la sua gloria, la perfezione morale dell’uomo, l’ordine morale in quanto tale. Ogni esplicito rifiuto del fine ultimo morale, ogni opposizione fondamentale alla legge della moralità, come l’odio e la bestemmia contro Dio, sono essenzialmente peccati gravi.
- Oggetti importanti sono anche tutti quei beni e doveri che come fini prossimi creati sono necessari alla realizzazione del fine supremo, soprattutto la natura umana, l’ordine e la pace della società umana. Tutto ciò che distrugge questa immagine della divina Sapienza nel mondo è oggettivamente peccato grave.
Questa verità non risulta soltanto dalla Rivelazione, specialmente dalla dottrina di S. Paolo, ma anche dalla struttura naturale dell’ordine morale come la propone la Chiesa.
Sull’alta dignità della carità si esprime così S. Tommaso: “Negli atti umani c’è qualcosa che per sua natura si oppone alla carità di Dio e del prossimo; ciò quindi per cui si distrugge la sottomissione e la riverenza dell’uomo a Dio, come la bestemmia, l’idolatria e simili; e ciò che sopprime la convivenza della società umana, come il furto, l’omicidio e simili; infatti gli uomini non potrebbero convivere fra loro se tali azioni fossero compiute di frequente e con indifferenza. E questi sono peccati mortali “ex suo genere”, con qualunque intenzione e volontà vengano compiuti”.
- Agostino nell’opera De fide et operibus rigetta la facile opinione che la fede o il battesimo sopprima o mitighi la esecrabilità di particolari trasgressioni morali. Anche nelle parole: “Ama e fa’ quello che vuoi” non vuol significare che l’amore dia la libertà di peccare, ma al contrario che l’amore genuino rende psicologicamente impossibile il peccato.
La linea oggettiva di demarcazione fra peccato mortale e veniale non è sempre facile da stabilire. Perciò bisogna confrontare la Sacra Scrittura e la tradizione ecclesiastica. Che anche leggi umane possano obbligare sub gravi, si deduce dall’importanza e necessità morale che esse partecipano dalla legge eterna. In questa gravità oggettiva si distingue il peccato mortale “ex genere” dal peccato mortale “ex genere toto”. Nel primo, malgrado l’importanza del bene comune, come l’ordine giuridico o il buon nome, è possibile in singoli casi una “parvità di materia”; nel secondo invece si tratta di oggetti unitari e indivisibili, in cui la trasgressione è sempre grave (per es. incredulità, falso giuramento, odio di Dio).
La conoscenza sufficiente del peccato grave.
Non l’oggetto in quanto tale ma l’oggetto moralmente apprezzato dalla conoscenza e presentato alla volontà costituisce la moralità formale. Perciò l’incondizionata opposizione dell’atto all’ordine morale deve essere conosciuta dalla coscienza, e non soltanto con una cognizione teorica generale, ma anche mediante il pratico riconoscimento del caso concreto.
Se si riconosce un atto semplicemente come peccato senza far questione circa la sua gravità, si deve ammettere in generale che il peccato è stato inteso nella sua vera gravità o leggerezza. In molti casi però è l’abituale tendenza di volontà della persona che dà la migliore soluzione. Così negli uomini fedeli al loro dovere non bisogna ammettere comunemente un peccato grave, se essi stessi non ne hanno coscienza chiara. D’altra parte nei peccatori abituali la coscienza può essere così attutita, che essi stessi non si angustiano eccessivamente per una trasgressione, anche se sussiste la piena necessaria conoscenza dell’intelletto.
La piena volontarietà nel peccato.
Poiché la volontà personale è la vera causa dell’atto morale, un peccato mortale si ha essenzialmente con la libera posizione del consenso.
Non così chiara è la necessità del volontario perfetto, della “piena” libertà. Sebbene nella volontà vi siano molti gradi d’intensità tra la decisione chiara, ferma e l’umana debolezza, pure queste differenze non spiegano l’infinita distanza tra il peccato mortale e quello veniale. Anzi peccati “infirmitatis”, cioè azioni compiute solo per passioni sensibili, possono essere peccati mortali. La piena libertà del volere significa la determinazione personale del peccatore, conscio della gravità dell’obbligazione morale, di porsi contro di essa, mentre non sussistono impedimenti alla libera volontà, che spesso da questi è essenzialmente coartata. Tale libero consenso non si trova soltanto nel peccato ad occhi aperti, nel peccato di malizia, in cui si compie il male per se stesso, per esempio per disprezzo diretto di Dio e del suo precetto, ma in ogni trasgressione grave dell’ordine morale compiuta con cognizione e libertà.
“Atti semi deliberati” chiamiamo quelli compiuti in stato di dormiveglia, di grande distrazione, di agitazione morbosa della coscienza. Segno che uno non ha acconsentito pienamente a una tentazione gravemente peccaminosa è il fatto che egli trovandosi in piena e desta cognizione lotta subito contro di essa. Particolarmente importante e consolante è l’importanza morale dell’abitudine. Chi per principio detesta il peccato mortale sopra ogni cosa può risolvere abbastanza facilmente il dubbio se in una tentazione abbia o no acconsentito.
Un peccato grave (“peccatum ex toto genere” o “ex genere grave”) diviene peccato veniale (“peccatum per accidens veniale”):
- Per un errore senza colpa, invincibile, che il precetto trasgredito obblighi in maniera leggera (“ex coscientia invincibiliter erronea”);
- Quando manchi la conoscenza o il libero consenso necessari per il peccato mortale (“ex imperfectione actus”);
- Quando in una legge gravemente obbligante la trasgressione è insignificante (“ex parvitate materiae”), in quanto si ha solo un peccato “ex genere grave”.
Si commette peccato veniale quando si viola una legge morale in cosa leggera o con imperfetta avvertenza e libertà.
Perciò si distingue un peccato veniale “ex genere” – (“ex parvitate materiae”) – e un peccato veniale “ex imperfectione actus”. Nel primo caso l’atto è formalmente cosciente e libero ma il contenuto insignificante; nel secondo può il contenuto essere rilevante, ma non è formalmente del tutto imputabile. Per chiarire alcune difficoltà può servire quanto segue:
- La natura del peccato veniale appare, secondo S. Tommaso, chiarissimamente nella imperfezione dell’atto, cioè nelle mozioni cattive che sorgono spontaneamente, che la volontà non approva, ma neanche impedisce come potrebbe. Qui l’uomo non prende posizione riguardo alla determinata cosa o valore. Lascia quindi un campo d’azione alle basse tendenze. Questo atteggiamento è in senso vero e proprio rottura della vita morale, agire irragionevole, disordinato; e perciò sregolato e peccaminoso.
- Più difficile è la spiegazione del peccato veniale perfettamente libero, per esempio di una cosciente bugia o di un danno di proprietà “in materia lieve”. Potrebbe sembrare che simile trasgressione leda la legge formalmente in maniera uguale al peccato grave. S. Tommaso anche in questo caso rimane fedele alla sua spiegazione fondamentale. Egli afferma che la materia leggera è “quasi nulla”, “quasi senza valore e importanza”; mentre l’agire relativo sarebbe “ozioso e nullo e quindi proibito”.
La difficoltà sorge nella questione: come si fa nell’aumento della materia del peccato, per esempio nel furto, a calcolare il confine fra materia leggera e grave, se una piccola cosa non produce al cospetto di Dio il grande cambiamento del peccato veniale in peccato mortale?
Alla soluzione di questa difficoltà è necessario che fra Dio e il valore umano inseriamo come mezzo termine il fine prossimo, l’oggetto formale della particolare virtù. Nel furto, per esempio, bisogna considerare se il danneggiato si senta più o meno offeso e oltraggiato in quanto soggetto di diritto, o meno; nella disubbidienza in seno alla famiglia, se i genitori vedono lesa la loro autorità come tale, se non considerano più come un buon figliolo il disubbidiente; nelle violazioni della pace coniugale, se con ciò viene distrutta la cordiale relazione coniugale. Se qui insomma anche “una goccia fa traboccare il bicchiere”, il motivo del peccato mortale non è però il piccolo aumento esterno, ma il cambiamento qualitativo da una cosa insignificante a cosa grave, dall’insignificante vacillare dell’habitus morale alla sua rovina e crollo.
- Poiché peccato mortale e veniale sono essenzialmente differenti, è chiaro che dalla semplice addizione di peccati veniali non nasce il peccato mortale. Ma può accadere che l’oggetto dell’azione peccaminosa aumenti a tal punto che la volontà, avendo l’intenzione del danno totale, commetta un peccato grave.
Un peccato in sé veniale può diventare mortale mediante circostanze interne ed esterne:
- Quando il peccatore ritiene per grave, erroneamente, un peccato o dubita al riguardo;
- Se il fine o le conseguenze dell’azione (per es. grave scandalo) previste (in qualunque maniera, almeno confusamente) producono una colpa grave;
- Se il peccato rappresenta un formale disprezzo di Dio o di un umano legislatore cui si deve ubbidienza “sub gravi”;
- Se il peccato veniale è per chi lo compie motivo prossimo e previsto o occasione per un peccato grave;
Se nella frequente ripetizione di un peccato veniale è intesa una materia grave (per es. nel furto).