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Dies Irae

Liturgia18 Giugno 2020
Testo dell'audio

Il più magnifico e stupendo canto della Chiesa è quello della liturgia dei defunti: il Dies irae, di fama mondiale e mai abbastanza venerato. “Distinto per la maestà, dignità e forza emotiva, in un semplice e pregnante linguaggio infantile – con un’illustrazione plastica di alto valore poetico – le sue parole cadono come tuoni nell’anima. Molto appropriata al contenuto è anche la scansione in strofe di tre versi, con la commovente quiete del suo muoversi in avanti” (Lüft).

Per contenuto e forma il canto è una perfetta opera d’arte: il giudizio di tutti gli esperti lo definisce come l’apice di quanto il genio umano, in questo genere di poesia, abbia mai raggiunto. Il terrore del Giudizio universale, in cui tutte le superbe vanità del mondo diventano polvere e cenere, è dipinto in questo canto dei morti con figure di terrificante e sublime semplicità, per cui l’anima si sente spontaneamente portata davanti alle porte dell’eternità; è come trafitta dal tormento, dalla paura, dal pianto e dalla miseria.

Quale tremore, quale terremoto ci sarà quando apparirà il Giudice onnisciente per il Quale nessuna tenebra è buia e la notte è come la luce del giorno! Nessuna colpa rimarrà impunita. La tromba risuonerà su tutte le tombe della Terra e chiamerà tutti al trono del Giudice. La morte si stupirà ed anche la natura”.

La visione di uno spettacolo tanto tremendo fa esclamare all’uomo peccatore angosciato: “Cosa posso dire, povero me?” Non gli rimane altro che rifugiarsi nella misericordia “del Re della tremenda maestà”. Ciò avviene con intima umiltà e con una preghiera infantile piena di confidenza nella grazia e nella remissione: “Ricordati, o Gesù buono, ch’io sono la causa della Tua venuta. Non dannarmi in quel giorno. In cerca di me, Ti sedesti stanco; mi hai redento soffrendo in Croce. Che sì gran pena non sia vana. Prostrato chiedo umilmente, piangendo, con il cuore contrito come cenere: proteggimi nel momento finale”. L’implorazione ultima esclama: “O pietoso Signore Gesù, dona ai defunti l’eterno riposo!

L’accoglienza delle ultime due Sequenze (Stabat mater e Dies irae) nelle relative Messe è avvenuta in un’epoca posteriore ed è, strettamente parlando, una deviazione dalla regola generale. Sin dall’inizio, infatti, le Sequenze erano canti festosi e gioiosi continui che seguivano l’Alleluia inserendosi nelle tonalità giubilanti senza testo. Il Dies irae però segue sempre il Tractus, mentre lo Stabat mater si aggiunge o al Tractus, o al canto dell’Alleluia.

Ad ambedue le Sequenze si può applicare il giudizio di Wiseman: “Persino quando la Chiesa è triste essa deve cantare, ma solamente nei toni bassi con cui essa stessa ravviva il gemito con la speranza”. Il canto porta sempre un elemento gioioso, avvincente e rinfrescante nella liturgia, anche quando ha in sè la grave impronta di una sacra mestizia.

Se confrontiamo la varietà di forma e di composizione del canto che collega l’Epistola al Vangelo, allora dovremo ammirare la delicatezza con cui la Chiesa sa interpretare e rappresentare i molteplici sentimenti e sfumature della vita interiore dell’anima, dalla più profonda tristezza al più esaltante giubilo, sia tramite il contenuto che attraverso la forma e la melodia dei canti. Così l’anima viene meglio disposta a ricevere la Parola di Dio che ora sarà annunciata nel Vangelo.

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