Dante Alighieri in Lessinia

La Lessinia è ricca di monumenti naturali, per lo più di tipo carsico, come ponti in roccia, voragini, grotte frequentate dall’uomo e da animali preistorici. Fra i monumenti più noti c’è il cosiddetto Covolo di Camposilvano, situato a circa 1200 metri sul livello del mare, una grande dolina a pozzo risultante dal crollo del soffitto di una sala sotterranea, con annessa una parte residuale dell’ambiente.
Per i visitatori, tale cavità è accessibile salendo il versante esposto a sud di una valle secca, sino ad affacciarsi su una sorta di varco tra le rocce, da cui si può scendere all’interno di una depressione grossomodo cilindrica, delimitata da alte pareti in roccia e con il fondo costituito da enormi blocchi; proseguendo verso nord, si presenta all’improvviso un ripido pendio e, di fronte a questo, in basso, un’ampia caverna con la volta a mezza cupola, parte residuale della sala ipogea.
In passato, sin dall’Età del Bronzo, la cavità, profonda quasi 70 metri, era utilizzata come frigorifero naturale per la conservazione di cibi; al suo interno, nel Medioevo era stato costruito un muro, per impedire l’accesso ad animali o a ladri e sull’architrave della porta era stato inciso il versetto «lassate ogni speranza voi ch’entrate». Purtroppo tale architrave è andata perduta, ma Attilio Benetti (1923-2013), un’autentica memoria vivente, che abitava nella vicina contrada Covolo, diceva di ricordarla perfettamente.
Come suggeriscono anche le fonti scritte, tra gli abitanti delle contrade vicine veniva tramandata oralmente la tradizione che Dante avesse visitato il Covolo e che si fosse ispirato a questa voragine nel formulare il suo modello dell’Inferno. Alcuni di questi abitanti legavano a tale tradizione un’autentica passione per la Divina Commedia, che sapevano recitare a memoria.
Indizi a favore della tradizione
Sappiamo che Dante è stato più volte a Verona, ospite dei Signori Della Scala e, in particolare, che vi soggiornò per alcuni mesi fra il 1303 e il 1304 e poi vi stette quasi ininterrottamente nel periodo 1313-1318. I dalla Scala praticavano, come i signori di allora, la caccia al cervo e all’orso nei monti a nord di Verona ed è quindi probabile che Dante li abbia seguiti in qualche battuta fuori porta.
Dante, nell’incipit del suo viaggio verso l’inferno, dice di essersi ritrovato in «una selva oscura», che era popolata di animali selvatici, tra cui una «lonza» (lince) e una «lupa». Il Covolo è situato all’interno della grande foresta di faggi, che i nuovi “coloni” Cimbri, giunti da pochi decenni, avevano iniziato a disboscare, tanto da creare un’ampia radura nel bosco, come dice il nome latino del luogo, «Campus – Silvanus». La foresta di faggi era molto ombrosa e quindi realmente una «selva oscura», adatta alla vita di animali selvatici, quali le linci e i lupi.
Corrispondenze o coincidenze?
Nella sua descrizione dell’inferno, Dante così si esprime: «valle d’abisso dolorosa» (Inferno IV, 8), «oscura e profonda era e nebulosa, tanto che io non vi discernea alcuna cosa. Ora discendiam qua giù nel cieco mondo» (Inferno IV, 10-13), «luogo è in inferno detto Malebolge, tutto di pietra di color ferrigno, come la cerchia che d’intorno il volge. Nel dritto mezzo del campo maligno vaneggia un pozzo assai largo e profondo» (Inferno XVIII, 1-5); «Per ch’io mi volsi e vidimi davante e sotto i piedi un lago che per gelo avea di vetro e non d’acqua sembiante» (Inferno, XXXII, 22-24).
Ora, chi visita il Covolo nota che la parte residuale della sala è buia e talora in prossimità del suo soffitto sono presenti delle “nuvolette” di nebbia («nebulosa»), determinate dalla condensazione del vapore a contatto con il soffitto, le quali possono originare precipitazioni sia di gocce d’acqua che di falie di neve.
Inoltre, sul fondo della sala è spesso presente del ghiaccio, che sino agli anni ’70 del secolo scorso perdurava sino all’estate avanzata (Dante parla di «lago che per gelo avea di vetro e non d’acqua sembiante»).
Chi si affaccia sul «pozzo assai largo e profondo», nota che la dolina di crollo, all’incirca cilindrica, è «di pietra di color ferrigno, come la cerchia che d’intorno il volge»; infatti queste pareti sono nel calcare detto «marmo rosso di Verona», geologicamente noto come «Rosso Ammonitico Veronese», caratterizzato da un colore rosso ruggine. Oggi questo colore è per lo più mascherato da una patina grigio-azzurrognola di cianobatteri, ma ai tempi di Dante lo doveva essere molto meno, in quanto alcuni forti terremoti del XII e del XIII secolo (vedi il terremoto di Verona del 1117) avevano fatto crollare dalle pareti grossi massi, esponendo la roccia inalterata.
Una recita della Commedia
Nel 2008 il regista Alessandro Anderloni ha deciso di organizzare la recita completa della Divina Commedia in alcune località del Comune di Velo e precisamente l’Inferno nel Covolo di Camposilvano, il Purgatorio sul Monte Purga di Velo e il Paradiso nella Valle delle Sfingi. Il primo canto dell’Inferno è stato recitato a memoria dall’ottantacinquenne Attilio Benetti e l’ultimo del Paradiso dal Vescovo di Verona, mons. Giuseppe Zenti.
In questo modo tradizioni religiose e letteratura sono diventate esperienze di vita, prima per gli abitanti della zona e poi anche per altri montanari, cittadini e turisti.