Dalle reliquie alla “fanera”

Le rappresentazioni dei demoni in Giovanni da Modena, Memling, Bosch, Grunewald ritraggono con cura anche i dettagli più scabrosi. A tal riguardo si possono fare delle precisazioni. La fanera è l’insieme di alcuni elementi precisi, che appartengono agli esseri viventi: la parte più epidermica di essi (capelli, unghie, artigli, squame, peli, zoccoli, becchi). Poi ci sono gli umori (il sangue, il latte, le lacrime). Tutto questo compare senz’altro e senza pudori nell’arte dei secoli lontani, anche sacra (si pensi alla densità con cui è dipinto il sangue nei pur raffinatissimi crocifissi del Beato Angelico in San Marco).
Poi si scende in basso. Nell’arte dei secoli passati talvolta le realtà corporee anche ben poco “alte” hanno avuto posto nelle rappresentazioni scultoree, musive o pittoriche. Insomma, la corporeità, persino nelle sue espressioni più terrene, possiede un ruolo forte nell’arte cattolica. «Caro cardo salutis» , «la carne è veicolo della salvezza», scriveva Tertulliano dissertando sull’Incarnazione e la redenzione. Da ciò derivano molte più conseguenze di quanto sembri.
Le reliquie più preziose sono proprio quelle che consistono in frammenti corporali dei santi: il sangue, i capelli, le lacrime (come quelle della Madonna di Siracusa), il latte (per esempio quello associato al culto delle “Madonne del latte”) sono tutti elementi popolarissimi. Non solo: la fede ha del corpo una considerazione somma, perché Tempio dello Spirito Santo (per i battezzati) e riflesso dell’immagine di Dio (per tutti).
Al contrario, il rifiuto disgustato e irridente verso le reliquie, figlio di una sensibilità infastidita da tutto ciò che è corporeo, finisce sempre con l’essere anticattolico. Certa sensibilità iperpurista (e un poco ipocrita) respinge con disgusto il culto delle reliquie e la genuinità di certi stili artistici antichi, chiamandoli barbari, infantili, pagani, superstiziosi o disdegnati come inadeguati alla sublimità del linguaggio della fede. Tale atteggiamento ha puntualmente contraddistinto le eresie, soprattutto quelle fiere delle proprie sofisticate speculazioni, gnosticismo, protestantesimo, ma è stata inesorabilmente riprovata a più riprese dalla Chiesa.
Questa insofferenza al corporeo, tornata in auge con il modernismo, ha sottratto i reliquiari dai nostri Altari per disperderli o esporli nei musei diocesani. Ed eccoci al contrappasso: quello che la modernità ha respinto dagli Altari sotto forma di reliquia, è beffardamente restituito alla società occidentale dall’arte contemporanea laica, però nella sua versione capovolta e parodistica. Ovvero: fanera, umori e prodotti corporei sono usati come materiale artistico. Rileva questo paradosso, nel 2005, Jean Clair, Accademico di Francia e conservatore generale del patrimonio francese.
Alcune correnti contemporanee, spiega, hanno attrazione per tutto ciò che abbia a che fare con il corporeo ripugnante, anche se in tutt’altro modo rispetto all’arte antica. Nel Novecento si incontrano emblematici esempi: dalle opere di Marcel Duchamp (per esempio Fontana, un orinatoio rovesciato del 1917) a quelle di Piero Manzoni. Negli anni Settanta fa uso di materiali corporei l’Azionismo viennese. Sempre più rozzi, morbosi e violenti, questi artisti segnano una tappa della rivoluzione culturale moderna. Lo spirito immondo è il Demonio. Tutte le manifestazioni corporee basse, aventi lo scopo di disgustare, sedurre o provocare, sono sempre state associate al male nell’arte cristiana. Mai pensate come materia da celebrare in sé.
Insieme alla forte fisicità del Cristianesimo, la fede insegna anche la coscienza della miseria imbruttente o morbosamente seducente, della carne decaduta, derivata dalle conseguenze fisiche del peccato originale. Da qui la dimenticatissima virtù del pudore. Oggi invece i segni di quella miseria sono innalzati a vocaboli autonomi e nobili di un nuovo sistema di comunicazione estetica. Per altro, anche la spazzatura e i rifiuti sono inclusi in questa nuova miniera di materiali artistici (Otto Mühl, David Nebreda).
Le espressioni immonde, abiette, che vanno dalla spazzatura al materiale organico della peggior specie, sono riversate sulla tela, compongono sgangherate sculture o, peggio, vilipendono il sacro. Per alcuni artisti odierni i rifiuti, le secrezioni o le parti più ripugnanti o volgari divengono materiale quasi sacrale, orgogliosamente ostentato, sigillo dell’avvenuta liberazione dai tabù ancestrali del corpo. Anche la spazzatura, l’equivalente collettivo dei rifiuti del singolo viene impiegata (con improbabili motivazioni di amore per il pauperismo o di qualche denuncia sociale). Ecco perché una sponsorizzatissima corrente artistica (Alejandro Marmo, Marina Abramovi) ha trasformato l’arte in discarica. è una beffa del Demonio l’aver fatto della bassa sporcizia il linguaggio estetico prediletto dall’uomo che si è voluto liberare di Dio.
Questo testo di don Emanuele Caccia è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it