Contenuto del diritto naturale, suoi principi

Talvolta si è voluto ridurre la legge naturale (o diritto naturale) ad una pura forma senza contenuto, incapace, sotto questo aspetto, di servire da norma pratica alla condotta umana, e, meno ancora, ai giuristi. Vi è in ciò un equivoco: se è certo, infatti, che il primo principio della moralità «bisogna fare il bene ed evitare il male» ha un aspetto puramente formale, non v’è dubbio che la nozione formale di «bene» riceve immediatamente un contenuto o una determinazione in funzione delle esigenze essenziali della natura umana. Queste determinazioni restano assai generali e astratte e, come tali, hanno valore di princìpi, ma richiedono delle precisazioni per poter guidare la condotta della vita. Esse definiscono una materia che è realmente, nella generalità, oggetto della legge naturale: ne consegue che i princìpi generali della moralità, e le conclusioni immediate che ne derivano, s’impongono in ragione della loro dipendenza dal primo giudizio del senso morale, e indipendentemente da ogni intervento positivo, per cui si può dire che il loro insieme costituisce il contenuto del diritto naturale.
- a) I princìpi del diritto naturale. Il diritto naturale, inteso nel senso or ora precisato, enuncia una serie di princìpi relativi alle inclinazioni fondamentali dell’uomo, definisce cioè il bene comune sotto i suoi aspetti più generali. La legge naturale esige, infatti, che l’uomo, in quanto essere vivente, rispetti l’essere che ha ricevuto da Dio (leggi relative alla propria conservazione); in quanto essere razionale, agisca come una persona, sviluppi cioè la sua ragione mediante la ricerca della verità, la sua libertà nel dominio delle passioni, la sua vita morale nella religione; in quanto membro di una specie, si adoperi per la conservazione della sua specie (leggi relative al matrimonio, alla procreazione e all’educazione dei fanciulli); in quanto essere sociale, rispetti l’ordine della società, contribuendo al bene comune, non solamente dello Stato (leggi politiche), ma anche dell’umanità, che costituisce la sua più grande famiglia.
Tutte queste leggi sono princìpi di doveri corrispettivi e questi doveri, a loro volta, fondano i diritti naturali dell’uomo; diritto alla vita, alla verità, alla giustizia, alla libertà, ecc. Soprattutto in ragione di questi diritti, per i quali la legge naturale è considerata regolatrice dei rapporti degli uomini tra loro e con l’autorità, l’insieme dei princìpi della legge naturale è designato col nome di diritto naturale; nello stesso tempo, appare evidente che il diritto naturale, inteso come definizione dei rapporti ad alterum, non può essere separato dall’etica, essendo un aspetto della legge naturale.
- b) Le conclusioni. Partendo dai princìpi generali della legge naturale, si possono dedurre, sotto forma di conclusioni o di conseguenze, delle applicazioni più o meno immediate. Le conseguenze immediate (quali, per esempio, sono quelle enunciate dal Decalogo) e i princìpi primi costituiscono la legge naturale primaria (o diritto naturale primario); le conseguenze meno immediate, relative alle modalità d’applicazione dei princìpi generali, appartengono ancora al diritto naturale, ma a titolo di precetti secondari (diritto naturale secondario): tali sono, per esempio, le leggi relative alle applicazioni del diritto di proprietà.
Il carattere distintivo che permette di collegare queste conclusioni, sia immediate che mediate, al diritto naturale sta nella possibilità di dedurle dai princìpi generali indipendentemente da qualsiasi considerazione di circostanze contingenti concrete, e nel loro valore universale, mentre invece ogni precetto che fa intervenire la considerazione di circostanze contingenti, particolarizzando la legge naturale, appartiene all’ordine positivo.
Un principio di distinzione equivalente consiste nell’opporre ciò che viene dall’istinto (per il quale si esprime, in primo luogo, la natura) e ciò che risulta dal ragionamento. Si dirà in questo senso che discendono dal diritto naturale tutte le leggi relative alla soddisfazione degli istinti primari. Da questo punto di vista, infatti, il bene relativo all’istinto è insieme ciò che è «buono» per la natura (bene istintivo) e ciò che è richiesto dalla legge naturale (bene normativo). Le direzioni della legge naturale e dell’istinto sono dunque parallele. All’opposto, appena la relazione all’istinto non è più assolutamente immediata, e appena, per conseguenza, il precetto del diritto naturale non s’esprime più in maniera intuitiva e spontanea, il ragionamento entra necessariamente in gioco per dedurre, sotto forma di conclusioni o di conseguenze, le esigenze secondarie e derivate dei precetti colti per apprensione immediata (o istintiva). Non si tratta più allora di diritto naturale in senso stretto, ma di diritto delle genti (jus gentium).
Il diritto delle genti tuttavia merita ancora il nome di diritto naturale, sebbene implichi una certa attività razionale, perché non richiede altro organo che la ragione umana: esso è promulgato «senza ricorso a qualche istituzione speciale» di cui non ha bisogno. È anzi in questo che esso differisce essenzialmente dal diritto positivo. Tuttavia esso costituisce un diritto naturale secondario, in quanto postula l’intervento del discorso.
L’esistenza di un diritto naturale è stata contestata, nell’antichità, dai sofisti, e presso i moderni, dai giuristi positivisti e sociologisti; dobbiamo pertanto precisare quali sono le basi della dottrina del diritto naturale e studiare le difficoltà che si sono fatte valere contro questa dottrina.
LE BASI DEL DIRITTO NATURALE
L’affermazione che esiste un diritto di natura si fonda su tre argomenti principali, tratti dal concetto di natura, dalla saggezza di Dio creatore e legislatore universale, e dalla testimonianza della coscienza.
IL CONCETTO DI NATURA – È evidente che non può esservi diritto o legge naturale se il concetto di natura non ha un valore oggettivo, se non ha un autentico significato metafisico. Sappiamo, infatti, che i concetti d’essenza e di natura non sono accessibili che alla ragione, la quale astrae dall’esperienza quello che essa contiene di universale e di necessario.
Il concetto di natura, se è inteso in senso metafisico (il solo che gli conferisca un valore universale e necessario), trae con sé quello di legge naturale: la natura è principio di attività e, per ciò stesso, fornisce a questa la sua direzione e la sua legge. Per questo ci è stato possibile, conformemente alle conclusioni della Metafisica, assimilare i concetti di legge, di fine, di bene e di natura: essi s’implicano reciprocamente e, materialmente, non formano che una sola e medesima realtà.
LA SAPIENZA DI DIO – Per chi professa l’esistenza di un Dio personale, che crea, conserva nell’essere tutto ciò che esiste ed è il fine ultimo dell’universo, il concetto della legge naturale s’impone nel modo più chiaro. Bisogna infatti ammettere che Dio, creando, ha ordinato tutti gli esseri secondo l’ordine infinitamente sapiente della sua Ragione. L’opera di Dio non procede per caso, ma in attuazione dei decreti della sua saggezza infinita. Per il fatto stesso che Dio chiama all’esistenza un essere razionale e libero, deve metterlo in grado di conseguire il fine della sua natura e perciò fargli conoscere in qualche modo la legge di questa natura e i mezzi per conformarvisi. Gli esseri senza ragione obbediscono necessariamente alla legge della loro natura; l’uomo, chiamato a condursi secondo ragione, deve scoprire nella sua ragione la norma della sua condotta.
Bisogna infatti che questa norma sia essa stessa essenzialmente naturale, cioè inscritta nella natura razionale, poiché ogni norma positiva, anche se ci giunge da Dio, può obbli- gare moralmente se e nella misura in cui, per una luce naturale della ragione, l’uomo vede e comprende che deve obbedire al precetto divino.
Il concetto di una legge naturale è legato, pertanto, alla idea di Dio creatore: per questo motivo ogni ateismo tende, in virtù della sua intrinseca logica, a distruggere il concetto di un diritto naturale come pure quello di norme assolute della ragione. Infatti, per l’ateo la «natura» può essere ancora ammessa, ma esclusivamente come un fatto, senza più significare un ordine di diritto, nel quale l’uomo debba rispettare la ragione e la volontà di Dio. La misura in cui l’uomo dovrà conformarsi sarà strettamente definita o dalle costrizioni esterne con la forza o dai suggerimenti dell’egoismo.
LA TESTIMONIANZA DELLA COSCIENZA – È un fatto assolutamente certo che tutti gli uomini provano nella loro coscienza, senza alcun dubbio, il sentimento intimo ed invincibile d’una legge che comanda di fare il bene e di evitare il male. In altra sede si è ribadito come questa esperienza sia costitutiva del senso morale. Essa non è frutto d’un insegnamento; né oggetto di una libera scelta, né privilegio di un momento particolare della vita. Essa accompagna inseparabilmente l’esercizio della ragione e non cessa mai d’imporsi, nel più profondo della coscienza, come la norma vivente della nostra azione, motivo per cui è giustamente chiamata «la voce della coscienza».
Ebbene, quest’esperienza si presenta con tutti i caratteri della natura, cioè dell’immediatezza istintiva, per il fatto della sua innatezza, necessità, spontaneità ed universalità (o specificità). La prossima volta vedremo più specificamente le proprietà della legge naturale.