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Come si è arrivati all’impunibilità dell’aiuto al suicidio?

Diario di bioetica26 Novembre 2019
Testo dell'audio

Il 22 Novembre è stato pubblicato un Comunicato da parte dell’ufficio stampa della Corte Costituzionale che individua un’“area” in cui punire l’aiuto al suicidio sarebbe incostituzionale: «si tratta dei casi nei quali l’aiuto riguarda una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma che resta pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli». C’era da aspettarselo: il terreno era già stato sapientemente preparato dalle DAT (Legge n.219 del 2017) e dall’ordinanza della Corte n.207 del 2018 che invitava il Parlamento a legiferare a riguardo, alla luce del caso Cappato/dj Fabo. Il medico non avrà l’obbligo di procedere a tale “aiuto”, ma sta di fatto che questo va a minare a tal punto il senso profondo dell’atto medico che è di oggi la notizia, uscita su dottnet.it, secondo la quale a breve occorrerà una modifica del Codice deontologico dei medici.

In questa puntata, cercheremo di spiegare il pensiero che soggiace all’ammissibilità del suicidio assistito da parte del diritto, ovvero la dis-umanizzazione della persona che rende la vita una “non-vita” di cui l’individuo e la società possono disporre fino alla sua eliminazione in virtù di concetti accidentali come “dignità” e “libertà”.

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