Come scoprire il difetto

Abbiamo detto che il difetto dominante può condizionare il nostro intero temperamento: il modo in cui sentiamo, giudichiamo, simpatizziamo, decidiamo ed agiamo. Se lo potessimo identificare, per trasformarlo, potremmo gradualmente cambiare il temperamento in meglio e divenire persone migliori: più amorevoli verso Dio e verso il prossimo, più in pace, più pieni della luce della Grazia, più felici e più in grado di diffondere la luce di Dio in questo mondo e nel Cielo.
Sarebbe una grande grazia, dice padre Garrigou-Lagrange, incontrare un santo che ci possa dire: “Questo è il tuo difetto dominante. Questa è la tua virtù dominante. Con questa virtù devi vincere il difetto e migliorare tutto ciò che fai, pensi e dici, i tuoi sentimenti, i tuoi desideri e la tua visione di tutto.” Questa virtù è, per così dire, il mezzo con cui avanzare nel mondo, con generosità e determinazione sulla via dell’unione con Dio.
Sarebbe davvero una grazia trovare un tale santo, ma se così non fosse, come possiamo scoprire il difetto dominante? Scoprirlo all’inizio della nostra vita spirituale o della nostra conversione, è relativamente facile. Ma col passare del tempo, ci abituiamo, e giudichiamo tutto nella sua ottica. S’impadronisce dell’anima, e, scendendo nel più profondo del nostro essere, si presenta persino come parte di noi stessi. Ci abituiamo, anzi ci identifichiamo con esso e non ce ne possiamo più separare. Dopo essersi ben radicato in noi (osserva il nostro colto e saggio teologo) si rifiuta di essere scovato e combattuto, nascondendosi dietro ad un’apparente virtù, perché vuol regnare in noi e su di noi.
La debolezza si traveste negli abiti poveri dell’umiltà, l’orgoglio in quelli della magnanimità e l’ira nell’apparenza di giustizia e di santo zelo. L’uomo, il maestro dell’autoinganno, finisce per vantarsi proprio di quel difetto che è il suo peggior nemico, esaltandolo come se fosse una virtù. Se il prossimo ci contesta questo difetto, rispondiamo con convinzione: “Caro mio, avrò pure tanti difetti ma ti assicuro che questo non è fra loro.” Anche se fosse il nostro Direttore Spirituale a menzionarlo, scuotiamo solennemente la testa, e subito si palesano le giustificazioni alla mente. Infatti il difetto dominante eccita facilmente le passioni: le comanda come un maestro ed esse obbediscono all’istante. Il suo fascino e la sua forza ci spinge verso l’impenitenza. Vediamo un esempio notevole in Giuda il traditore, pessimus mercator: la parsimonia conduce all’avarizia, l’avarazia alla tradizione e la tradizione all’impenitenza.
Intanto, il nemico della nostra anima, che conosce quel difetto, ne fa uso per creare problemi dentro ed intorno a noi: conflitti, scontri, sgradevolezze, tumulti, tempeste nella anima e negli incontri con altri. Nella cittadella della vita interiore, il difetto dominante rappresenta il punto debole, indifeso dalle virtù. Qui regna come un nemico all’interno delle mura: nascosto, travestito e potente. Il demonio conosce il difetto, quel nemico interno e sa precisamente dove si trova. Così si allea con esso per distruggere la cittadella. Se lo ignoriamo non possiamo combatterlo. Se non lo possiamo combattere, non possiamo avere una vera vita interiore, e perciò faremo ben pochi progressi in questo mondo.
Come possiamo trovarlo, dunque? Primo con la preghiera: “Mio Dio, che cosa è che mi allontana dalla Vostra Divina Grazia? Vi prego di darmi la forza di sottomettermi ad essa. Liberatemi dai miei legami, per quanto possa essere doloroso.” Secondo, esaminiamo la nostra anima con sincerità: qual è il motivo delle mie solite preoccupazioni – al mattino quando mi sveglio e quando sono da solo? Dove vanno i pensieri e i desideri spontaneamente? Qual’ è per me causa di tristezza e gioia? Qual’ è in genere la motivazione delle mie azioni e dei miei peccati? Qual’ è per me la natura delle tentazioni, ed il motivo che mi allontana dalla Grazia (in particolare quando mi allontana dalle preghiere o mi distrae durante)? Terzo, cosa criticano gli altri in me: – il mio Direttore Spirituale, se ne ho uno, la mia famiglia, quelli con cui vivo, quelli che mi conoscono meglio? Quattro, in che modo mi ispira lo Spirito Santo nei momenti di vero fervore? Che cosa mi chiede di sacrificare per amore Suo? Se mettiamo in pratica queste misure con sincerità e costanza di spirito, ci troveremo faccia a faccia con quel nemico interiore che ci rende schiavi. Nostro Signore ci dice nel Vangelo di San Giovanni (8,34): “Chiunque ha commesso il peccato è schiavo del peccato.”
San Giacomo e san Giovanni volevano chiamare il fuoco dal cielo su una città che rifiutava di riceverli. Ma il Signore rimproverò questi ‘Figli del Tuono’(Boanerges), dicendogli: “Non sapete di che spirito siete. Il Figlio dell’uomo non è venuto per distruggere, ma per salvare” (Lc. 9.55). Ma già all’Ultima Cena vediamo San Giovanni accontentarsi di posare tranquillo la testa sul Cuor Divino del Salvatore. Alla fine della vita fece poco altro; si dice, che non fece che ripetere in continuazione: “Figliuoli miei, amatevi l’un l’altro.” Non aveva perso nulla dell’ardore né della sete di giustizia, ma si erano spiritualizzati ed elevati mediante una straordinaria dolcezza.
Padre Konrad zu Lowenstein