Come gli angeli

L’angelologia del prof. Plinio Corrêa de Oliveira presenta un carattere apostolico e catechetico, diretto alla lotta contro la Rivoluzione. Egli ritiene che la dottrina sugli angeli possa, infatti, infliggere «un colpo mortale alle concezioni materialistiche dell’uomo contemporaneo» ed, in contrasto con qualsiasi egualitarismo, riproporre una concezione gerarchica della società. Dio ha creato una molteplicità di esseri e questo implica una gerarchia, «necessaria all’ordine del’universo», nella quale gli angeli hanno una funzione in quanto intermediari fra l’uomo e Dio.
Per Plinio Corrêa de Oliveira la società angelica è il modello della società umana: «È nella Santissima Trinità e nella natura dei rapporti di Dio con i Suoi angeli che troviamo il modello perfetto di ciò che dovrebbe essere una società umana».
Allo stesso modo, la caduta degli angeli consente di analizzare i processi sociali di decadenza: in base al principio per il quale le società si comportano come una grande anima umana collettiva, si possono studiare i processi sociali come se fossero processi spirituali.
Plinio Corrêa de Oliveira si chiede se la prova alla quale Dio ha sottomesso gli angeli fosse assolutamente necessaria. La risposta è affermativa: «Prima di ammettere gli angeli nella Sua intimità, Dio ha voluto che dessero una prova del loro amore. Questa prova era, in modo assoluto, necessaria affinché gli angeli raggiungessero il grado di perfezione al quale erano chiamati».
Questo per il principio – valido anche per le società –, in base al quale la vita spirituale ascendente, quella che tende alla santità, è fatta di successivi olocausti, nei quali la persona va gradualmente uccidendo l’uomo vecchio per far sbocciare quello nuovo. La perfezione non si raggiunge senza di questo.
Così tutto porta a credere che, in un primo momento, Dio si sia un po’ velato agli angeli. Mentre alcuni hanno conservato vivo il Suo ricordo e semmai hanno fatto uno sforzo doppio per amarLo senza vederLo, in altri si è insinuata una sorta di amnesia di Dio. Questo per una stanchezza del sublime, per un offuscamento spirituale, che percorre alcune tappe: crescente compiacimento di sé stesso, tendente all’autosufficienza; conseguente insorgere dell’orgoglio e, quindi, il rigetto di umiliarsi davanti a ciò che sia trascendente; crescente irritazione verso l’Ordine gerarchico creato da Dio.
Questo processo è sfociato nel non serviam, con il quale Lucifero si è ribellato apertamente a Dio e ha portato via con sé un terzo degli angeli del Cielo.
Nel suo apostolato, Plinio Corrêa de Oliveira ha dovuto spesso contrastare quell’atteggiamento che oggi chiamiamo buonismo, atteggiamento che implica la rinuncia al carattere militante della Chiesa ed è alla radice di tanti cedimenti, sia in campo dottrinale che in campo disciplinare. Perciò egli aveva un’attenzione particolare rivolta allo studio della missione militante di alcuni angeli e, in primis, di san Michele, che contrastò la ribellione di Lucifero con quel magnifico «Quis ut Deus!», che ancora echeggia nella storia.
Si potrebbe obiettare che la lotta angelica non è militare ed è vero. Si tratta di una lotta di presenza, di amore al bene e di odio al male, nella quale il bene si impone al male e lo espelle dalla presenza divina. È questa l’essenza del proelium magnum riferito nell’Apocalisse. Per questo Plinio Corrêa de Oliveira parla del Cielo come del «più bel campo di battaglia di tutta la storia».
La missione di san Michele comporta due aspetti: «La lotta non è solo la distruzione di coloro ch’erano insorti contro Dio. Essa implica anche l’affermazione dell’opposto. La lotta non è gloriosa, se non nella misura in cui afferma e impianta ciò che il nemico aveva cercato di distruggere. Proclamando Quis ut Deus!, San Michele non solo ha cacciato via l’avversario nell’inferno, ma ha anche fatto risuonare nell’universo un canto perfetto di amore a Dio, che echeggerà per tutta l’eternità. Il canto d’amore perfetto è allo stesso tempo un canto di guerra e un canto di adorazione nei confronti di ciò che si difende e si afferma. È dall’amore dell’Ordine che nasce l’odio contro il disordine».
Ma ci sono altre missioni militanti nel mondo angelico, studiate con cura dal pensatore brasiliano. Nei suoi autorevoli Commentaria in Sacram Scripturam, Cornelio a Lapide affronta l’esegesi del secondo capitolo di Zaccaria, che narra la visione di quattro corna: esse rappresentano altrettante forme del male. Vi sono poi quattro operai, che il teologo gesuita chiama «angeli ferrai», che battono queste corna con pesanti martelli. La loro missione è di «abbattere e demolire le corna delle nazioni che cozzano contro il paese di Giuda per disperderlo». Contro ognuna di esse Dio suscita una forma di bene repressivo, alla quale corrisponde una persona angelica. Questi angeli hanno per missione quella di incutere terrore, di abbattere e demolire tali forme del male. Ora, siccome gli angeli agiscono ex natura propria, cioè la loro missione si fonda sulla loro natura, ciò vuol dire che questi angeli sono essenzialmente guerrieri. La guerra è loro consustanziale.
A questa visione ne segue un’altra, nel capitolo 6, che vede quattro carri trainati da cavalli bai, neri, bianchi e pezzati e che il profeta chiama «i quattro venti del cielo, che dopo essersi presentati al Signore partono per tutta la terra». Mentre i cavalli bianchi sono inviati per «ca lmare lo spirito delle nazioni», quelli bai vengono chiamati da Cornelio a Lapide «angeli vendicatori». Vengono cioè per attuare vendetta sui nemici del Signore e per aiutare i figli della luce a sbaragliare gli avversari: «È un concetto romantico pensare che l’angelo venga solo per estinguere una peste – glossa Plinio Corrêa de Oliveira – Nelle Sacre Scritture ci sono molti brani, che mostrano angeli inviati per castigare, per flagellare, sia nazioni che individui”. Un esempio eclatante è l’angelo inviato per uccidere i primogeniti degli egiziani (Es, 12,29).
Su questa scia, Plinio Corrêa de Oliveira esamina anche la visione dei setti angeli vestiti di lino puro con sette coppe d’oro colme dell’ira di Dio, proposta nel capitolo 15 dell’Apocalisse. Egli commenta: «Il lino puro rappresenta la gioia degli angeli nell’eseguire la giustizia divina castigando gli empii. Le coppe sono d’oro perché l’ira proviene dall’amore. L’ira è l’amore in stato di militanza, è un’ira santa».
Plinio Corrêa de Oliveira parte dal presupposto che l’angelo custode non sia assegnato a caso. Da tutta l’eternità Dio ha destinato un angelo specifico ad ognuno. Questo ha un vincolo profondissimo con la persona, che va oltre gli aspetti accidentali e tocca quasi il suo essere. L’angelo custode è l’archetipo della persona. Egli è, a livello angelico, la perfetta realizzazione di ciò che questa dovrebbe essere secondo i progetti di Dio.
Di solito si ha l’idea che l’angelo custode esista appena per difendere la persona dal male. In realtà, come recita la preghiera, la sua missione consiste nell’«illuminare, custodire, reggere e governare». Oppure, secondo Dionigi Aeropagita, nel «purificare, illuminare e perfezionare». Questo, commenta Plinio Corrêa de Oliveira, «è il senso più profondo di ogni governo – divino, angelico e umano -, visto nel suo aspetto più elevato».
Quando un gruppo di individui legati da un certo vincolo si radunano, si può formare qualcosa che è più della semplice somma dei componenti. Scrive il pensatore brasiliano: «Credo abbia a che fare con la frase della Genesi secondo cui ogni cosa creata da Dio era ‘buona’, ma l’insieme era ‘molto buono’. Si direbbe quasi che nasca qualcosa di ontologicamente diverso e superiore, appunto un’anima collettiva. Questa realtà è accidentale, ma è simile a una persona, meno ‘densa’ ma più nobile e mette in evidenza ciò che i componenti hanno di meglio».
Possiamo immaginare che a quest’“anima” collettiva corrisponda un angelo diverso e superiore rispetto all’angelo custode dei singoli membri. Sarebbe l’angelo custode della collettività, destinato da Dio a purificarla, illuminarla e perfezionarla. Tale angelo sarebbe l’archetipo di questa collettività: «L’angelo scende su quella collettività e entra in simbiosi con essa, conferendole una ricchezza ontologica che i semplici rapporti umani non possono spiegare».
Questo ci porta a una nozione di angeli custodi non appena per le nazioni – concetto che trova fondamento sia nelle Sacre Scritture che nella teologia –, ma, più ampiamente, per le “anime collettive” nella società umana, come famiglie, istituzioni, ordini religiosi e via dicendo. In questa logica, si può supporre che persone eminenti, che hanno in mano il governo delle collettività, sia spirituali che temporali, possano contare, oltre che sul proprio angelo, anche su quello delle collettività medesime.
Non solo. Per Plinio Corrêa de Oliveira non è difficile supporre – si tratta ovviamente di un’ipotesi teologica, d’altronde già esplorata dalla Patristica – che, così come Dio ha attribuito ad ogni uomo un angelo custode, Egli abbia affidato ad alcuni angeli la custodia di certi luoghi particolarmente magnifici: «A volte vediamo certi luoghi della natura così belli e suggestivi di cose superiori, che siamo portati a pensare che vi sia qualcosa di religioso. Evidentemente non vi è niente di divino, come pensavano erroneamente i pagani. Ma non possiamo pensare che vi sia un’azione angelica?».
Il suo ruolo non sarebbe meramente estetico, bensì anche apostolico. Egli agirebbe sulle persone che contemplano quel luogo, aiutandole a contemplarlo in modo corretto, risalendo fino a Dio, salvo poi amarLo con massima intensità. Questo che si può dire della natura si potrebbe dire anche riguardo a certe creazioni del genio umano.
Questo testo di Julio Loredo è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it