Cina, il Partito Comunista in carenza d’affetto….

Dalla Cina comunista è raro che vengano buone notizie; ma è evidente che il governo e il Partito dimostrano una sempre maggiore insicurezza, nei confronti della popolazione, e di conseguenza tendono ad inasprire controlli e forme di pressione, specialmente verso i credenti, di ogni religione; e in particolare nei confronti dei fedeli cattolici.
Un giornale tedesco, Tagespost, riporta una disposizione nuova, un decreto che obbliga le gerarchie – preti e religiosi di ogni genere – a dimostrare il loro «amore per il Partito comunista».
Naturalmente la disposizione si rivolge alle fedi ufficialmente riconosciute, che sono cinque: riconosciute e autorizzate, nella Repubblica Popolare di Cina: il buddismo, il taoismo, l’islamismo, il cattolicesimo e il protestantesimo. “Autorizzazione” però in Cina non è sinonimo di “libertà”, come dimostra la storia recente e la cronaca.
Il nuovo decreto – chiamato “Ordinanza nº 15” – è stato pubblicato in gennaio dall’Ufficio Nazionale degli Affari Religiosi di Pechino per regolamentare “l’amministrazione” delle istituzioni religiose. Secondo il documento, gli ecclesiastici sono tenuti a mantenere l’unità nazionale, l’unità etnica, l’armonia religiosa e la stabilità sociale.
Essi non devono «mettere in pericolo la sicurezza nazionale» o «minare l’unità nazionale», e tantomeno «dividere il Paese». Sarebbe egualmente previsto, secondo il Tagespost, che le celebrazioni religiose debbano rispondere a norme redatte dal Partito comunista.
In concreto, oltre a altri provvedimenti, ogni membro del clero cinese avrà attribuito dalle autorità un codice numerico personalizzato, di dodici cifre. Grazie a questo codice, il suo nome sarà inserito in un archivio, e nel caso che non si conformasse alle esigenze del Partito Comunista Cinese, perderebbe l’autorizzazione a proseguire l’attività pastorale e potrà essere fatto oggetto di sanzioni.
Ma non è l’unica mossa tesa a un controllo sempre più ampio. L’amministrazione del ciberspazio cinese (Cac) ha lanciato un’app per segnalare i commenti online contro il partito comunista al potere e la storia del paese (quella ufficialmente approvata, naturalmente) in vista del prossimo 100° anniversario del partito.
“Per un po’ di tempo, alcune persone con secondi fini… hanno diffuso online false dichiarazioni storicamente nichiliste, distorcendo maliziosamente, calunniando e negando la storia del Partito, nazionale e militare nel tentativo di confondere il pensiero della gente”, dice un comunicato della CAC. “Ci auguriamo che la maggior parte degli utenti di internet svolga un ruolo attivo nella supervisione della società… e denunci con entusiasmo le informazioni dannose”.
Le informazioni “storicamente nichiliste”, nella retorica ufficiale, sono contenuti che incitano al dubbio sulla storia del passato del Partito.
La mossa arriva sulla scia di recenti tempeste di critiche online – provocate da nazionalisti dei social media – che hanno ripescato commenti vecchi di anni e spesso da allora cancellati espressi da figure pubbliche e marchi commerciali.
La nuova hotline, una combinazione di delazione e contrasto, accetterà quattro tipi di reclami sui contenuti: distorsioni della storia, attacchi alla “leadership, all’ideologia guida, ai principi o alle politiche del Partito”, la diffamazione di eroi e martiri, e “negazioni dell’eccellenza della cultura tradizionale cinese, della cultura rivoluzionaria e della cultura socialista avanzata”.
L’avviso della CAC non spiega quali potrebbero essere le punizioni per i trasgressori. La Cina già spesso detiene e imprigiona persone per discorsi online ritenuti politicamente inappropriati. All’inizio di quest’anno, le autorità hanno introdotto nuove clausole legali che stabiliscono che coloro che “insultano” gli eroi e i martiri nazionali del paese possono essere condannati fino a tre anni di prigione.