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Canti liturgici

Liturgia05 Marzo 2020
Testo dell'audio

I dottori della Chiesa attestano ai canti liturgici una grande forza religiosa e morale, una virtù salvifica. Sant’Ambrogio vede nel cantare i salmi in comune un potente legame per unire e mantenere i fedeli uniti in armonia. I cuori dei singoli sono come le corde di un’arpa: ciascuno dà il proprio tono; tutti assieme compongono un melodioso concerto. San Crisostomo considera che nei canti sapienti e pii si rinviene il mezzo più efficace per staccare l’anima dalla terra, colmarla col disprezzo delle cose terrene e riempirla di amore per la sapienza celeste. A suo giudizio il Cristianesimo non conosce altro canto se non quello di lode per il Creatore e Redentore, come anche la glorificazione delle Sue grandi e benefiche opere per rafforzare la fede e le virtù nel comportamento.

S. Agostino, ricordando i tempi trascorsi presso S. Ambrogio dopo il suo battesimo a Milano, scrive a proposito dei canti sacri: “In quei giorni non mi potevo saziare dell’ineffabile dolcezza che provavo in me quando meditavo in profondità il Tuo consiglio per l’eterna salvezza del genere umano, o mio Signore e mio Dio. Con che forza mi commuovevo e quali sentimenti provavo udendo i canti devoti e gradevolmente modulati della Tua comunità di fedeli! E quante lacrime per quei Tuoi inni e canti! Con i canti che penetravano il mio udito, si versò la Tua verità nella mia anima: sante emozioni riverberarono, le mie lacrime scesero abbondanti, e in questo provavo un ineffabile benessere”.

Ciò che i santi Padri dicono sui canti sacri è confermato e dimostrato dalla scienza teologica. “Chi canta con l’intenzione di promuovere la devozione fa maggiore attenzione al contenuto del testo, in primo luogo perché indugia più a lungo sulle parole, e poi anche ,perché tutti i sentimenti del cuore, ciascuno secondo la propria diversità, con le particolari modulazioni nell’esecuzione del tono e del canto, vengono a trovarsi in un’ineffabile parentela e, proprio tramite queste modulazioni, si risvegliano nell’anima nostra’ (S. Agostino). E la stessa cosa avviene per coloro che ascoltano questi canti; benché tra questi ci siano anche alcuni che non comprendono il testo del canto, essi sanno tuttavia perché viene eseguito: proprio per glorificare Iddio. E ciò è sufficiente ad accrescere in essi la devozione. Inoltre la melodia si rivela un ottimo mezzo per ravvivare i sentimenti di venerazione verso Dio e la devozione nel cuore dell’uomo. Ed è un bene che la Chiesa faccia uso del canto 3 durante le celebrazioni, così da venire incontro alla debolezza umana e condurre i cristiani ad una più sentita devozione”.

Non solo l’impulso dell’anima piena di Spirito Santo, ma anche l’esempio del Signore durante l’ultima cena, quando concluse con il “canto di lode” (Matt. 26,30) e l’esortazione dell’Apostolo, che invita a edificarsi a vicenda con “Salmi e canti di lode e inni spirituali” (Ef. 5,19) per effondere la pienezza e la gioia del cuore, spinsero la giovane Chiesa dell’Oriente e dell’Occidente a dare forma più solenne e imponente alle sue funzioni e celebrazioni eucaristiche tramite la bellezza e la nobiltà del canto.

Il canto liturgico ha una storia assai varia; infatti, col mutare dei tempi, si è sviluppato e arricchito molto. Qui bisogna rilevare che nei primi cinque o sei secoli, quando i testi erano generalmente comprensibili, e il più delle melodie piuttosto semplici, anche i fedeli, assieme al clero e agli accoliti all’altare, avevano parte al canto nelle celebrazioni liturgiche. Ciò era possibile perché non era necessaria una particolare preparazione dato che si cantava soprattutto in stile salmodico. Poi, con l’affievolirsi della conoscenza della lingua usata nel culto, e col diffondersi e prevalere del canto di più alta levatura, si verificò il lento declino del canto popolare. Dall’XI o XII secolo in poi, l’insieme dei canti liturgici divenne competenza di cantori opportunamente istruiti, e da questo momento in poi essi assunsero ricami melodici sempre più raffinati. Il maggior numero di partecipanti al canto favorì la forma responsoriale e quella antifonale, che qui soprattutto sono opportune. D’altra parte ambedue possono essere eseguite in diverse maniere.

La più antica forma del salmodiare cristiano è quella responsoriale; essa si svolge con il canto dell’intero Salmo da parte di un solo cantore a cui risponde il coro (il popolo o la moltitudine) ripetendo un verso. Quando il coro ripete il verso che è stato appena cantato dal cantore, allora si ha la forma che ancora oggi si usa nella Litania di Tutti i Santi prescritta per il Sabato Santo, quando peraltro il Salmo è cantato due volte. Un’altra forma preferita era quella in cui i fedeli rispondevano sempre con il medesimo ritornello (verso, intercalare, parola); per esempio, il Salmo 135 e il 94 con l’invitatorio nel mattutino.

I responsori più comuni erano le parole “Amen” e “Alleluja”. San Girolamo paragonava il vibrante canto dell’“Amen” nelle chiese al “tuono celeste”. I versi del responsorio di contenuto dossologico (Salmi 41,2; 117,24; 144,15), o del tipo delle sentenze, oppure conformi al carattere dell’anno liturgico, vengono spesso fatti da S. Crisostomo oggetto di edificanti esortazioni per il popolo, invitando i fedeli a ricordare quei versi durante il giorno, specialmente nelle tentazioni.

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