Arte italiana in Russia

È noto come nel XVIII secolo il neo-Impero russo sia diventato culturalmente permeabile al resto degli Stati europei, grazie all’azione riformatrice di Pietro I Romanov detto Pietro il Grande. In quel periodo i contatti politici e gli scambi intellettuali con i Paesi circostanti fiorirono numerosi, mentre l’interesse russo si fissava in particolar modo sulle soluzioni artistiche sviluppate nella Penisola italiana.
Il dialogo effettivamente esistente tra le due antiche tradizioni figurative, che permette di individuare anche una profonda affinità tra esse, va ricercato nella Storia, scorrendo i secoli a ritroso, fino ad incontrare quello che fu un elemento comune: l’arte bizantina.
Se da un lato la sensibilità russa seppe trarre dal crogiuolo di forme e colori diffusi da Bisanzio la cosiddetta “arte delle icone”, dall’altro lato, sul suolo italico, il retaggio bizantino si mescolò al più ancestrale linguaggio classico, ispirato all’imitazione della Natura e alla ricerca di un’armonia ideale delle forme.
Eppure se si accostano la chiesa di Santa Sofia a Kiev e quella di San Marco a Venezia, emerge con evidenza il comune denominatore bizantino. Da qui i due linguaggi artistici, russo e italiano, si sarebbero divisi a lungo fino a ritrovarsi nel XVIII secolo, quando il neonato impero russo si volse verso Roma, all’epoca capitale indiscussa delle Arti, per riceverne l’insegnamento del Bello.
Artisti italiani per progettare la Capitale
Già in precedenza le due tradizioni artistiche si erano congiunte, come nella seconda metà del XV secolo quando gli architetti italiani Aristotile Fioravanti, Marco Ruffo e Pietro Antonio Solari, erano stati coinvolti nella ricostruzione del Cremlino moscovita. Su questo esempio, all’inizio del XVIII secolo, quando giunse il momento di progettare e fondare la nuova capitale dell’Impero, la città di Pietroburgo, lo Zar Pietro I si avvalse di grandi maestranze italiane.
Un elemento peculiare, favorì la diffusione dei codici artistici europei e soprattutto italiani nella cultura visiva della società russa: la diffusione delle incisioni riproducenti le grandi opere che decoravano le residenze e le chiese italiane ed europee. Le incisioni finirono con il tappezzare le pareti dei palazzi del Cremlino, come una altisonante eco della produzione artistica europea.
Gli ambasciatori e gli agenti russi in viaggio attraverso i Paesi europei acquistavano e inviavano tesori in Russia. Nel 1746, durante il Regno di Elisabetta Petrovna, fu edificato il padiglione dell’Hermitage in cui fu collocata la collezione dei dipinti, con una sezione dedicata alle opere italiane.
Un voto per le logge di Raffaello
Con l’ascesa al trono di Caterina II nel 1762 esplose la fioritura delle arti e della cultura in Russia. Il collezionismo di opere d’arte fu ulteriormente incentivato, raggiungendo il suo culmine nella raccolta dell’Hermitage.
Nel 1776 Caterina II scriveva: «Questa mattina mi sono capitate tra le mani le volte delle logge di Raffaello», intendendo con queste parole i preziosi fogli con le incisioni di Volpato e Ottaviani che riproducevano in scala, ma con raffinata precisione, gli affreschi realizzati da Raffaello e dai suoi allievi in Vaticano tra il 1515 e il 1518. La bravura nell’esecuzione a stampa dei maestri incisori (anch’essi italiani) fecero sì che la Sovrana si innamorasse della limpidezza del nostro Urbinate e con essa dell’eccellenza del Rinascimento italiano.
«Io faccio voto al divino Raffaello – aggiungeva Caterina II – di costruire queste logge e di collocarvi le copie perché è assolutamente necessario che io le veda riprodotte qui. Provo una tale venerazione per queste logge e queste volte che in loro onore donerò risorse finanziarie per costruire l’edificio e non avrò pace né tregua finché tutto non sarà terminato».
Molte firme italiane all’Hermitage
Beato Angelico, Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Giulio Romano, Giorgione, Tintoretto, Guido Reni e Guercino: sono solo alcuni dei pittori italiani, le cui creazioni contribuirono alla formazione del gusto degli artisti e dei collezionisti russi del XVIII secolo.
Nelle sale dell’Hermitage è presente anche un Caravaggio, ma in una delle sue espressioni più classicheggianti: il Suonatore di liuto, opera giovanile ancora carica di simbolismi e nitore esecutivo.
Questa vicinanza della cultura figurativa russa al gusto neoclassico forse conserva il riflesso di quell’antica “arte delle icone”, lineare ed evocativa, una sorta di sublimazione del mondo reale; un percorso destinato a condurre, senza deviazioni, ad una più profonda intuizione della Verità attraverso il mezzo artistico.
Questo testo di Michela Gianfranceschi è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it