All’ombra dei castelli…

Rocche e castelli dell’Emilia raccontano la storia di un passato di ordinata bellezza, di cortesi costumi, ma soprattutto di incrollabile fede, sostegno non solo del territorio, bensì della salda e feconda civiltà occidentale.
«Signori e cavallier che ve adunati, Per odir cose dilettose e nove, Stati attenti e quïeti, ed ascoltati, La bella istoria che ‘l mio canto muove»: fra le mura della Rocca di Scandiano, non lontano da Reggio Emilia, Matteo Maria Boiardo compose questi mirabili versi intrisi di latinismi ed intessuti di quella lingua dai marcati tratti padani e, per l’appunto, emiliani che caratterizzano la sua poesia e ne tradiscono l’origine reggiana.
A Scandiano, feudo del nonno Feltrino, il giovane poeta fu educato alle lettere classiche nelle stanze del castello, che ancora mostra ai visitatori l’inalterata magnificenza: nel complesso convivono strutture architettoniche medievali, rinascimentali e barocche, tra cui spiccano lo scalone monumentale, le bifore, gli stucchi dell’appartamento estense e gli affreschi, recentemente rinvenuti, di Nicolò dell’Abate, precursore del Rinascimento francese, nella Stanza del Paradiso.
Fulcro del borgo, il castello di Scandiano ha ospitato nel tempo grandi protagonisti della storia quali Francesco Petrarca e papa Paolo III ed è stato un luogo chiave dell’Umanesimo italiano: i manieri e le regge emiliane rifiorirono proprio nel Cinquecento e mostrano tutt’oggi il volto ricevuto nel secolo dell’arte, dell’armonia, dei classici e della bellezza.
Esempio principe di questa tendenza è il castello dei Pico, a Mirandola, terra scossa dal terremoto del 2012, che ha reso la fortezza in parte inagibile: il corpo centrale del castello è costituito dalla secentesca Galleria Nuova, con un armonioso e nobile loggiato, affrescata da Biagio Falcieri per ospitare gli oltre trecento straordinari dipinti collezionati da Alessandro II Pico. Oggi sede di un ricco museo, il castello modenese ha aperto le sue stanze a Ludovico I d’Ungheria, al tipografo Aldo Manuzio, al marchese Rodolfo Gonzaga, agli Este e a papa Giulio II della Rovere, che lo assediò nel 1510 per conseguire il proprio ambizioso progetto di annessione della Romagna allo Stato pontificio; qui risuonarono i primi vagiti del celebre erudito Giovanni Pico della Mirandola, dalla proverbiale memoria, figlio cadetto dei duchi e mente sublime del secolo delle humanae litterae.
Non lontano dal borgo, nella luminosa Carpi, profila la sua ombra il castello dei Pio, signori del luogo, residenza rinascimentale dominata dalla torre dell’Uccelliera e dal torrione dell’Orologio, che copre l’ingresso al bramantesco cortile centrale quadriporticato. Lo scalone monumentale conduce al piano nobile, che vede sfilare una serie di stanze riccamente decorate: il Salone dei Mori, punteggiato di statue e allegorie opera di Giovanni del Sega, la cappella e la Stanza dei Trionfi, con resti di affreschi di Bernardino Loschi ispirati ai Trionfi del Petrarca, tema molto caro alle corti rinascimentali.
Supera il maniero per abbondanza e varietà artistiche il castello di Torrechiara, nel parmense: varcato il portone del cortile d’onore, si dipanano davanti agli occhi del visitatore i magnifici saloni voluti dal conte Pier Maria II de’ Rossi di San Secondo, oltre che imponente struttura difensiva in pietra e laterizio. Riccamente decorata, all’interno la Sala di Giove mostra il dio greco intento a scagliare fulmini circondato da cirri, ninfe, cornucopie, rami e arabeschi ripresi nell’attigua Sala del Pergolato.
Proseguendo nel percorso si giunge nella Sala della Vittoria, in cui campeggiano gli stemmi dell’imperatore Rodolfo II e di papa Gregorio XIII divisi e contemporaneamente uniti da rami di alloro e ulivo, simboli della gloria e della pace resa possibile dalla concordia fra i poteri universali. Particolarmente pregevoli le stanze che riprendono le diverse fasi della giornata, affrescate con cieli di varie sfumature cromatiche dall’aurora alla sera, e la Camera d’oro, stupefacente esempio degli altissimi livelli raggiunti dall’arte quattrocentesca: gli affreschi della volta sono sia araldi dell’amor cortese intrattenuto tra i proprietari del maniero, sia emblematici del potere dei conti di San Secondo, in quanto vi sono raffigurati tutti i castelli posseduti dalla dinastia, da Berceto a Fornovo, da Corniglio a Bardone.
Questa cospicua presenza di fortificazioni in Emilia ha, come sostenuto, una sua precisa ragione geografica e politica: la frammentazione territoriale e dunque le tante famiglie nobiliari che si suddivisero il potere hanno beneficiato l’Emilia di molti castelli, eretti o potenziati, alcuni più celebri, altri più nascosti, ma altrettanto ricchi di storia e tradizioni. Nel piacentino, la dinastia degli Scotti, d’antica origine caledone, detenne per secoli le fortezze di Vigoleno e Agazzano, ampliandole e restaurandone le fondamenta medievali; tra la pianura e l’Appennino parmense, la lunga signoria dei Landi ha lasciato in eredità al genere umano gioielli come i manieri di Bardi e Compiano o il fiabesco castello di Rivalta.
Il castello di Montechiarugolo rappresenta un complesso fortificato, splendidamente conservato; la Rocca Sanvitale di Fontanellato, pittoresca e raffinata gemma architettonica rinascimentale, è circondata da un ampio fossato ed è custode di molti cimeli. La Rocca di Soragna, gravida di arte e tradizioni, è proprietà del principe Diofebo VI Meli Lupi, grazie al cui operato continua a raccontare la storia di un passato di bellezza, cortesi costumi e incrollabile fede, sostegno della salda e feconda civiltà occidentale.
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Questo testo di Lorenzo Benedetti è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. È possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it