XXII domenica dopo Pentecoste

Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio
Dom Prosper Guéranger, nel suo commento alla Messa odierna della XXII domenica dopo Pentecoste, ci dice che alcuni degli antichi commentatori associano questa Messa ai tempi dell’anticristo. Mentre l’anno liturgico si avvicina alla fine, dicono, la Chiesa pone davanti alla mente dei suoi figli il pensiero dell’uomo del peccato, destinato a sorgere e ad ingannare molti alla fine del mondo. Ora, se Dio nostro Padre permetterà a questo avversario di Cristo di sorgere in quel momento e fare tanto male, non è perché la Sua carità verso il mondo si sarà raffreddata, poiché Dio è carità, e non può cambiare. È piuttosto perché la carità dell’uomo si è raffreddata; come Cristo predisse nella grande profezia che presto ascolteremo, poiché le iniquità si moltiplicano, la carità di molti si raffredderà. Quando non ci sarà più abbastanza carità sulla terra per impedirne la venuta, allora arriveranno i tempi dell’anticristo.
Ma poiché il giorno e l’anno preciso della sua venuta non sono noti, la Chiesa vuole che i suoi figli in ogni tempo stiano all’erta, e ancor più man mano che il tempo si avvicina. Perciò, nell’Introito della Messa di oggi, pone queste parole sulle nostre labbra: Se consideri le nostre colpe, Signore, Signore, chi potrà sussistere? La prima condizione per resistere alle tentazioni, specialmente alle tentazioni crudeli o sottili degli ultimi giorni, è di non confidare nella nostra giustizia, ma piuttosto, di dire a Dio: presso di Te è la propiziazione; cioè, “presso di Te è Gesù Cristo, che è la propiziazione (ossia la vittima di espiazione) dei nostri peccati”.
Perciò, poiché abbiamo fiducia in Gesù, il Quale anche ora intercede per noi presso il Padre, dobbiamo aver fiducia anche nelle preghiere della Sua sposa, la Chiesa. La Colletta ci ricorda il potere di queste preghiere: Dio, nostro rifugio e nostra forza, ascolta le fervide preghiere della Tua Chiesa, Tu che sei la sorgente stessa della pietà. Noi partecipiamo a queste devote preghiere ogni volta che assistiamo alla santa Messa o all’Ufficio divino, anche se, per l’umana debolezza, alle volte siamo un po’ carenti di sentimenti di devozione. La sacra liturgia, essendo la preghiera ufficiale della Chiesa, ha un potere molto maggiore di quello che avrebbe se si considerassero solo le disposizioni personali di coloro che vi prendono parte. Ma anche quando i cristiani si riuniscono per pregare indipendentemente dalla sacra liturgia, ad esempio per recitare un rosario o le litanie, pregano ancora come membri del Corpo di Cristo; e così, anche in questo caso, benché stanchi o distratti, purché la loro intenzione sia buona, essi partecipano alle fervide preghiere della Chiesa. E così, oltre alla consapevolezza della nostra debolezza, questa è l’altra condizione per resistere nei giorni cattivi, cioè la perseveranza nella preghiera.
Il versetto dell’Offertorio continua questo tema. È tratto dal libro di Ester, la giovane ebrea che divenne sposa del gran re. Ella va alla sua presenza per presentare una petizione a favore del suo popolo, che è minacciato di annientamento da Aman, il quale aveva un grande potere nel regno. Aman è una figura dell’anticristo, mentre Ester è una figura della Chiesa che prega Dio a nome dei suoi figli. Ma anche noi siamo Ester, ogni volta che preghiamo per coloro che sono deboli nella fede, o per coloro che, a causa della loro forma di vita, e forse senza colpa propria, sono esposti a molte tentazioni. Verso la fine del mondo diventerà più che mai necessario che i cristiani preghino non solo per sé stessi, ma gli uni per gli altri, affinché possano ricevere la grazia della perseveranza ed essere, come dice oggi san Paolo, irreprensibili per il giorno di Cristo, cioè il giorno in cui Egli porrà fine a tutte le tentazioni.
Anche il Vangelo si riferisce a questo tema dell’anticristo? Sì, perché ha a che fare con il potere di Cesare o, come si dice oggi, con il potere dello Stato. È comune a tutte le persecuzioni coinvolgere il potere dello Stato. Allora, cosa crediamo noi cattolici dello Stato, cioè dell’autorità politica o temporale?
La prima cosa da dire è che crediamo che venga da Dio. Non importa affatto quale sia la forma di governo, che si tratti di una monarchia ereditaria o di una democrazia in cui tutti votano, o di qualche altra forma di governo: non importa come la persona in carica arrivi al potere, la sua autorità viene da Dio. Questo è il motivo per cui abbiamo il dovere di obbedire alle leggi e persino di mostrare segni esterni di onore a coloro che hanno autorità. Quando, ad esempio, san Paolo fu interrogato dal procuratore della Giudea, si rivolse a lui con rispetto, definendolo “Eccellentissimo Festo” (At 26,25).
Ma la seconda cosa da dire sul potere temporale è che non è mai assoluto. È, infatti, solo Dio che ha l’autorità assoluta. Il potere politico è dato a certe persone da Dio per uno scopo particolare, vale a dire, per aiutarci a vivere bene insieme in questo mondo. La moneta che diamo a Cesare, che guadagniamo con il lavoro di questa vita, gli appartiene per ciò che egli fa per facilitare queste opere, ad esempio frenando i malfattori. Ma la nostra vita sociale in questo mondo è una cosa molto breve e persino di poca importanza se paragonata alla vita di cui godranno i giusti nel Regno di Dio. Ciò significa che il potere politico non può mai essere utilizzato per promuovere la felicità dell’uomo in questo mondo se poi gli chiude la via per il Cielo. I primi cristiani erano abbastanza disposti a pagare una moneta a Cesare, ma si rifiutavano risolutamente di offrire incenso a Cesare. Quelli che comandavano loro di offrire incenso a Cesare avevano, in un certo senso, una buona intenzione, vale a dire l’unità dell’impero; ma mettevano questo fine terreno al di sopra di qualcosa di molto più alto, l’onore dovuto a Dio solo; e perciò i nostri antenati cristiani erano disposti a subire ogni tipo di morte piuttosto che bruciare anche un solo granello di incenso all’imperatore.
Ecco cos’è la persecuzione: qualcuno prende il potere che ha ricevuto da Dio e lo rivolge contro il popolo di Dio. È qualcosa di terribile e di innaturale; ecco perché la Sacra Scrittura, nel libro di Daniele e anche nell’Apocalisse, descrive i persecutori sotto forma di bestie fantastiche e deformi. Tuttavia, la persecuzione non è sempre aperta e manifesta, e il persecutore non è sempre una persona crudele, almeno nel senso normale del termine. Leggiamo nel libro dei Maccabei che, quando i Giudei furono costretti, contrariamente alla Legge di Mosè, a mangiare la carne dei maiali, c’era un nobile scriba di nome Eleazaro, di novant’anni, e che alcuni dei suoi potenti amici, “commossi – dice la Scrittura – da una iniqua misericordia”, gli dissero che gli avrebbero portato segretamente carne lecita da mangiare, così che doveva solo fingere di aver mangiato carne di maiale. Anche durante le prime persecuzioni romane, ad alcuni cattolici fu detto che non dovevano “di fatto” offrire incenso all’altare di Cesare, a condizione che si fossero recati all’ufficio imperiale locale e avessero comprato un certificato ufficiale in cui si diceva che lo avevano fatto. Ma la Chiesa rifiutò di accettare questo compromesso, come il vecchio Eleazaro che, dopo un momento di riflessione, si rifiutò di beneficiare del trucco che i suoi cosiddetti amici si erano offerti di operare in suo favore, e preferì morire martire.
Se abbiamo bisogno di coraggio per superare le persecuzioni aperte, come possiamo vincere queste tentazioni più sottili di tradire Cristo e la Sua parola? Con la semplicità di cuore e la purezza di intenzione: come dice Nostro Signore nel Vangelo, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà nella luce, cioè, se la tua intenzione è pura, allora la luce divina risplenderà su tutte le tue azioni e ti mostrerà ciò che è gradito a Dio. Un’intenzione ferma e incrollabile di dare a Dio ciò che è di Dio: questo ci permetterà di vedere, quando sarà il momento, ciò che appartiene a Cesare e ciò che non gli appartiene.