USA: Le mamme pro-life considerate «terroriste domestiche»

Finalmente buone notizie sul fronte della vita: lo scorso mese di aprile il Dakota del Nord è divenuto il quattordicesimo Stato Usa a vietare quasi totalmente l’aborto. Uniche eccezioni ammesse, stupro o incesto – solo fino alla sesta settimana di gravidanza – e casi di grave pericolo per la vita o la salute della donna. Il rischio “psicologico” della madre, invece, non è stato considerato causa sufficiente per uccidere il proprio figlio in grembo.
Il Dakota del Nord si allinea così a Idaho, Wisconsin, Missouri, Kentucky, West Virginia, Arkansas, Tennessee, Texas, Louisiana, Mississippi e Alabama. In South Dakota e Oklahoma invece la legislazione è ancora più restrittiva e prevede l’aborto solo in caso di pericolo per la vita della donna ed in nessun’altra eventualità.
Le condanne, a seconda dello Stato, prevedono il carcere oppure sanzioni variabili sino ai 200 mila dollari della Louisiana per i bimbi abortiti dopo la 15ma settimana di gravidanza (100 mila dollari, se prima della 15ma settimana). Sul fronte opposto purtroppo si colloca il New Jersey, che invece consente di abortire addirittura sino alla nascita del bimbo, senza porre alcuna condizione.
Intanto, dopo anni di battaglie legali, due tribunali federali in California hanno definitivamente stabilito che il Primo Emendamento negli Stati Uniti tutela il diritto delle organizzazioni religiose di non includere l’aborto nei piani di assicurazione sanitaria, ch’esse devono attivare, per non venir meno alle proprie convinzioni ed alla propria coscienza. A seguito di queste sentenze, le autorità statali hanno dovuto pagare anche le spese legali sostenute dalla controparte per un importo totale di 1.400.000 dollari.
Tutto questo scatena ancor di più chi, come Planned Parenthood, sull’aborto ha costruito le proprie fortune e chi sulla galassia pro-choice ha costruito le proprie fortune elettorali, come l’amministrazione Biden, che, ormai priva di controllo e di misura, è giunta a bollare le madri pro-life come potenziali terroriste domestiche.
A denunciarlo, è stato Reed D. Rubinstein dell’organizzazione America First Legal, che, sulla scorta del Freedom of Information Act ovvero della legge americana sulla libertà d’informazione, è entrato in possesso di alcuni documenti del Dipartimento sulla Sicurezza Nazionale, di cui ha definito «allarmanti» i contenuti. Riguardano la proposta di un programma di formazione denominato «Scegli la tua avventura», dove si presenta Ann, una madre «pro-life di mezza età» sospettata «di radicalizzazione», dunque un soggetto da tener d’occhio. Si legge nello sconcertante testo: «Ann è sempre stata religiosa, ma dalla morte della madre è diventata sempre più devota. È attiva in vari gruppi ecclesiali. Sebbene sia sempre stata protettiva nei confronti dei suoi quattro figli, si preoccupa sempre più per il benessere di altri bambini, compresi quelli non ancora nati».
Secondo Rubinstein, «la trasformazione del Dipartimento di Sicurezza Nazionale in un’organizzazione di intelligence nazionale ed in un apparato di sicurezza interna simile allo Stato Profondo della Stasi è allarmante». Il Dipartimento sta «profilando i cittadini americani patriottici e politicamente conservatori come genitori violenti e terroristi domestici, in quanto si oppongono all’aborto ed hanno votato per l’ex-presidente Trump. L’agenzia è fuori controllo».
I documenti, richiesti da Rubinstein, sono datati 29 gennaio 2021, sono cioè stati predisposti una settimana dopo l’insediamento del presidente Biden. Ma non si tratta solo di carte. La guerra agli avversari politici è stata condotta dall’amministrazione in carica anche con diversi colpi bassi: l’anno scorso l’Fbi fece irruzione nelle abitazioni di diversi militanti pro-life, poi assolti da qualsiasi accusa. Viceversa le autorità sembrano ignorare la massiccia e crescente ondata di attacchi patiti dalle organizzazioni pro-life nell’ultimo anno: si parla di attentati incendiari, vandalismi, cyber-attacchi ed altri atti intimidatori.
Pare inoltre che il Dipartimento di Giustizia abbia sconsigliato l’arresto di manifestanti pro-aborto fuori dalle case dei giudici, ritenendo «controproducente» procedere a fermi per casi che il Dipartimento non trasformerebbe comunque in «imputazioni o processi», il che ha dell’incredibile! La legge è stata disattesa dall’amministrazione Biden anche dopo il tentativo di assassinare il giudice Brett Kavanaugh lo scorso giugno: la polizia aveva arrestato per questo un cittadino californiano, Nicholas John Roske, di 26 anni, munito di pistola e di altre armi fuori dalla casa del magistrato. Il suo intento pare fosse quello, eliminandolo, di impedire alla Corte Suprema degli Stati Uniti di rovesciare la sentenza Roe v. Wade e di consentire così ai singoli Stati membri di cancellare l’aborto. Nel mirino dei pro-choice v’è però anche la sentenza Dobbs v. Jackson con cui la Corte Suprema ha ritenuto legittima la normativa, con cui il Mississippi ha vietato l’aborto dopo la quindicesima settimana di gestazione.
Insomma, la partita è ancora aperta e la posta è altissima: lo scontro è tra i fautori della vita ovvero di un principio non negoziabile, che giocano secondo le regole previste, ed i fautori invece della «cultura di morte», che le regole le calpestano.