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Un piccolo sunto sulla moralità oggettiva e soggettiva

Teologia Morale13 Giugno 2023
Testo dell'audio

Abbiamo visto insieme gli attori della moralità oggettiva (ovvero la legge eterna e morale naturale) e della moralità soggettiva (ovvero la coscienza dell’uomo). Vorrei dire qualche altra parola chiarificatrice prima di procedere oltre, e lo farò grazie all’aiuto del teologo morale Joseph Mausbach. Riguardo all’importanza teologico-morale della divisione che abbiamo visto, possiamo affermare che la moralità materiale di un atto si deduce dalla sua relazione alla norma morale oggettiva, la moralità formale dalla relazione con la norma soggettiva, con la coscienza. La moralità materiale prescinde da ciò che direttamente costituisce la parte formale, dalla conoscenza soggettiva morale e dall’intenzione dell’agente. Perciò anche gli atti dei minorenni, dei fanciulli, degli ammalati mentali, possono avere la moralità materiale, mentre ad essi manca la moralità formale.

Poiché neanche materialmente è permesso violare l’ordine morale, è illecito indurre alla violazione materiale della legge naturale tali fanciulli e ammalati mentali, che non possono violare formalmente l’ordine morale, mancando ad essi la necessaria conoscenza e libertà. Chi ciò facesse agirebbe con azione indiretta, violerebbe materialmente e formalmente l’ordine morale. Insomma, un atto può essere materialmente contro l’ordine, mentre a causa di coscienza erronea è considerato formalmente giusto, o anche viceversa.

 

Secondo il carattere della norma morale gli atti che ad essa si misurano possiedono una moralità interna o esterna.

L’atto ha in se stesso e indipendentemente da ogni legge positiva una moralità intrinseca assoluta, in quanto è espressione dell’essenza della legge divina e perciò oggetto necessario dell’immutabile volontà divina, a tal punto che senza caratterizzazione morale non può neanche esser pensato, per esempio, l’amore e l’odio verso Dio, la verità e la menzogna, la castità e l’impurità. Tali atti sono per se stessi (assolutamente) buoni o cattivi.

Oltre questa moralità intrinseca, c’è una moralità intrinseca condizionata, nei casi in cui la moralità dell’atto dipende dal verificarsi di qualche condizione. Se questa si realizza, l’atto si determina in conformità con la legge morale, se questa viene a mancare, esso è contro l’ordine e riprovevole. Ciò accade in due casi: 1) Quando manchi una licenza morale o giuridica in un atto (propter defectum iuris), che senza di essa è proibito, per es. impossessarsi di roba altrui contro il volere del proprietario, l’unione sessuale al di fuori del matrimonio, l’uccisione di un uomo innocente (delitto). Se in questi casi ci fosse il diritto, prescindendo dalla liceità morale, l’atto sarebbe morale. Quindi, per gli esempi che abbiamo fatto: nel caso ci fosse la volontà del proprietario, non si tratterebbe di furto, nel caso ci fosse un valido matrimonio, l’unione sessuale non sarebbe adulterio e nel caso di un ingiusto aggressore si parlerebbe di legittima difesa e non di delitto. 2) Per la presenza di un pericolo (propter periculum peccati) per beni moralmente obbliganti; in tal caso l’atto è immorale, finché sussiste il pericolo (per es. la lettura di libri contrari alla fede; il contrarre matrimonio misto con pericolo per la fede; il porre atti col pericolo di acconsentire al male).

Un atto possiede la moralità estrinseca, quando la sua specificazione dipende solo da una legge positiva, dal compimento o rispettivamente dal non-compimento di una determinata volontà legiferante. Così si spiega l’opinione dei Teologi secondo cui determinati atti sono comandati perché buoni, proibiti perché cattivi, altri invece sono buoni perché comandati, cattivi perché proibiti.

Questa differenza non significa che l’atto puramente esterno sia senza valore. Si dirà soltanto che in questi casi la moralità dell’atto riceve la sua specificazione non dall’interna legge dell’essenza umana, ma da una norma positiva, dal di fuori.

In ultima analisi bisogna ricondurre anche ogni legge positiva e la stessa autorità da cui emana, alla legge naturale o soprannaturale, e quindi a Dio. Poiché Egli solo, per il Suo servizio divino ed anche al di là dell’ordine della creazione e della Redenzione, può comandare sotto peccato, dare precetti positivi e farli imporre dai suoi rappresentanti terreni, sempre che non siano in contraddizione con se stesso. […].

 

La legge eterna è l’ultima norma oggettiva, la norma prossima oggettiva è l’ordine della creazione, l’essere dell’uomo nell’ordine naturale e soprannaturale; la norma prossima soggettiva è la coscienza orientata secondo l’ordine oggettivo.

 

La dottrina della moralità come relazione alla norma morale può essere intesa rettamente soltanto se non si cade nell’errore che si tratti perciò di un astratto codice di norme, estraneo alla natura dell’uomo e del cristiano, ma quando si riconosce che si tratta di un ordine del Legislatore divino, in cui l’uomo, che nelle sue più intime fibre è “teomorfo”, fatto a immagine di Dio, è totalmente e radicalmente inserito.

E non solo come la pietra, le piante, le bestie, ma con la capacità e l’obbligo d’inserirsi in libera dedizione nell’ordine divino con la capacità di ricevere e di conformarsi istrumentalmente.

Così ogni norma morale è una definizione normativa dell’essere, che agendo deve svilupparsi (agere sequitur esse). Le norme dell’agire seguono le norme dell’essere.

Insomma essere, valore, verità, bellezza, che la norma propone di rispettare efficacemente come modelli, sono inseparabilmente uniti. Perciò la moralità come osservanza di leggi, è anche sviluppo dell’essere, affermazione del valore, proclamazione della verità e espressione di bellezza. E solo sotto questi aspetti essa è considerata nella sua pienezza.

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