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Un gioiello inaspettato e tutto da scoprire: Venosa

Tesori d'Italia05 Dicembre 2018
Testo dell'audio

Adagiata su un altopiano alto circa 400 metri alle pendici orientali del Vulture, Venosa, ai confini con la Puglia, sin da tempi remotissimi, ne è stata la porta di comunicazione verso la Lucania. Lo stesso Orazio diceva che “il contadino di Venosa ara su entrambi i confini”.

Chi visita il Parco Archeologico di Notarchirico, un sito di enorme importanza alla periferia di Venosa, trova resti di animali di grossa taglia come elefanti, rinoceronti e bisonti e testimonianze di una necropoli paleolitica.

I romani la strapparono nel 291 a.C. ai sanniti e la chiamarono Venusia, forse dal latino Venus, la dea Venere, o da “vinosa” per l’abbondanza e la bontà dei suoi vini. Dapprima colonia, poi, in epoca imperiale, Municipium, Venosa conserva di questa dominazione consistenti tracce. Epigrafi, iscrizioni, lapidi sepolcrali, fregi architettonici e rilievi di epoca romana sono incastonati nelle chiese e in molti palazzi del centro storico.

La posizione privilegiata di Venosa lungo la via Appia, che collegava Roma a Brindisi, e l’Herculia che andava dall’Appia all’Annia (da Capua a Reggio Calabria) ne favorì in epoca romana un fiorente sviluppo, destinato peraltro a rallentare quando nel 114 d.C. sarebbe stata inaugurata la via Traiana da Benevento a Brindisi, correndo più a oriente.

Ai tempi del Municipium romano la città era tanto florida da attirare 20.000 coloni romani. Aveva un proprio Senato, un proprio esercito e la possibilità di battere moneta. Fu probabilmente questa prosperità ad attirare una colonia di ebrei che si inserirono senza problema alcuno nella popolazione, mescolandosi nei quartieri cristiani e alternando addirittura sepolture semitiche a cristiane come è ben visibile nel dedalo di catacombe in tufo dei primi secoli dopo Cristo che ricama il colle della Maddalena.

Città di Orazio

L’antico centro romano di Venusia era limitato da due valloni e da due assi viari tuttora esistenti per cui gli isolati erano di forma stretta e allungata. Anche i quartieri medievali sono ancora leggibili per l’uso di costruzioni in pietra locale con arcate a tutto sesto. Altrettanto interessanti sono i palazzi signorili del periodo compreso tra il ‘600 e l’800 e le chiese. Resta traccia di alcuni esercizi commerciali che prevedevano una terrazza a lato dell’ingresso per esporre la merce.

Uno spettacolare Parco Archeologico, ai margini della città antica, consente di ammirare rovine notevoli di edifici eretti tra l’età repubblicana e il Medioevo. Fra esse un grande complesso termale articolato in vari ambienti e una domus di età imperiale, entrambi con una pregevole pavimentazione musiva. Di fronte, vi sono tracce consistenti di un anfiteatro del primo secolo di forma ellittica, su tre piani, capace di ospitare ben 10.000 spettatori.

Vi è anche una casa patrizia del I secolo, detta la Casa di Orazio, ove si dice che il celebre poeta latino sia nato e vissuto durante l’adolescenza. Una gloria della città che dal 1986/87 lo celebra con l’annuale Certamen horatianum, gara fra giovani studenti di traduzione e commento storico-letterario di un brano del poeta.

L’“incompiuta”, sacrario degli Altavilla

Di assoluto fascino è l’abbazia della Santissima Trinità, sorta sul sito di un tempio pagano dedicato alla dea Imene. Si tratta forse del complesso più interessante di Venosa. L’insieme, di grande suggestione, comprende tre corpi distinti.

Una prima chiesa antica sorta, su un precedente edificio paleocristiano, restaurata in età longobarda e portata al massimo splendore in epoca normanna, dalla facciata semplice con ingresso porticato e l’interno assai rimaneggiato e affreschi bizantineggianti alle pareti.

Resta del periodo paleocristiano la cripta. Sulla destra del prospetto sporge il corpo del progetto abbaziale collegato con l’atrio della chiesa e aperto da due arcate sostenute da pilastri cruciformi di epoca longobarda.

Sul retro della chiesa, oltre l’abside, si aprono le scheletriche navate della chiesa nuova iniziata, probabilmente dai benedettini, non è certo quando, utilizzando materiali sottratti all’anfiteatro romano o, secondo alcuni studiosi, alla pavimentazione del foro.

La pianta e il deambulatorio rimandano alla potente architettura dell’abbazia di Cluny in Francia, ma anche alla più vicina cattedrale di Acerenza.

Quanto resta, i muri perimetrali, parte del colonnato, le tre absidi e il transetto, documenta l’ambizioso progetto di creare un’unica grande chiesa, una struttura che, se fosse stata ultimata, sarebbe stata meravigliosa, e che invece ha il soprannome di “Incompiuta”. Sulle pareti di questo tempio, unico nel suo genere, convivono testimonianze di vita romana ebraica e normanna.

Papa Niccolò II nel 1053 la consacrò, trasformandola da cattedrale in abbazia. La cripta divenne, per desiderio di Roberto il Guiscardo, il sacrario degli Altavilla. L’abbazia raggiunse un ruolo di primaria importanza, confermato per tutto il XII secolo dalle numerose donazioni fatte in suo favore.

Poi quando nel 1133 Venosa fu distrutta, l’abbazia non subì danni, ma risentì del declino degli Altavilla, tanto da perdere nel 1194 la sua autonomia ed essere sottoposta a Montecassino. Nel 1297 Papa Bonifacio VIII esautorò l’ordine benedettino dal possesso del complesso concedendolo all’ordine Ospitaliero di Gerusalemme.

Il Castello Aragonese e la concattedrale

Un ruolo determinante nelle vicende urbanistiche di Venosa, fu svolto da Pirro del Balzo duca d’Andria che nel 1453 aveva ricevuto in dote dalla moglie Maria Donata Orsini il feudo di Venosa. Alla sua iniziativa si deve il Castello Aragonese edificato nel 1470, un’imponente fortificazione a pianta quadrata con quattro possenti torri agli angoli, un ponte levatoio e l’inevitabile fossato attorno.

La costruzione fu in seguito trasformata in residenza patrizia da Carlo e Emanuele Gesualdo, con l’aggiunta della loggia interna, dell’ala nord-ovest e dei ridotti alla base dei torrioni, e ospitò dal 1612 l’Accademia dei Rinascenti.

All’interno si apre un cortile con loggiato rinascimentale. I ridotti alla base dei torrioni, che prima ospitavano le carceri, ora accolgono il Museo Archeologico nazionale con reperti importanti che vanno dall’età preromana a quella normanna.

La costruzione del castello con il fossato aveva comportato la distruzione di una cattedrale romanica e del quartiere che la circondava, quindi Pirro del Balzo dispose anche la costruzione di una nuova cattedrale verso la pianura, la Concattedrale di Sant’Andrea iniziata contemporaneamente al Castello, ma consacrata solo nel 1531. Il campanile poi fu pronto dopo quasi due secoli, nel 1714.

Anche per costruire questa chiesa, Pirro del Balzo fece riorganizzare l’urbanistica della zona, abbattendo la Chiesa di san Basilio e le botteghe con le abitazioni adiacenti.

L’interno della Concattedrale è suddiviso in due piani e tre navate ornate da archi a sesto acuto. Nella navata destra la cappella del SS.mo Sacramento è decorata da un arco con putti e festoni. La cripta ospita la tomba di Maria Donata Orsini, moglie di Pirro del Balzo.

Città ricca di chiese e fontane

Non si possono dimenticare le molte chiese, alcune delle quali di particolare interesse come la barocca Chiesa del Purgatorio, la Chiesa di San Martino di origine medievale, situata in un vicolo della parte antica, la cinquecentesca Chiesa di San Rocco, patrono della città, eretta perché il Santo aveva protetto dalla pestilenza la popolazione, la rinascimentale Chiesa di San Biagio e la trecentesca Chiesa di San Domenico con annesso il convento.

Anche nelle fontane è stato riutilizzato prezioso materiale antico romano: la fontana Angioina del 1298 eretta in onore di Carlo d’Angiò, con due leoni in pietra e una colonna; la fontana di Messer Oto costruita tra il 1313 e il 1314 per rendere omaggio al sovrano Ruggero d’Angiò, sormontata da un leone di pietra e corredata di una vasca che veniva usata anche come lavatoio pubblico; e la cinquecentesca fontana di San Marco dal nome della chiesa eretta di fronte.

 

Questo testo di Annamaria Scavo è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. È possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it

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