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Teologia nel canto

Arte e Cultura18 Aprile 2018
Testo dell'audio

Il mito dell’actuosa participatio, la “partecipazione attiva” alla liturgia e, particolarmente, al canto, non nasce con il Vaticano II (sebbene ne costituisca una delle intime essenze liturgiche). Proprio così, nessuna trovata del Concilio. Il “dogmatico” assunto «Che tutti cantino!» ha circa cinque secoli di vita e rappresentò un’innovazione protestante: fu Lutero, infatti, a promuovere una nuova concezione della musica sacra (e della liturgia); e chi la sostiene, oggi, all’interno della liturgia “cattolica” postconciliare, non fa altro che rifarsi alla dottrina luterana sulla musica sacra. Si capisce, allora, perché spesso si guardi proprio alla musica sacra come contatto tra le due religioni.

Eppure, benché in molti corifei del Novus Ordo si sforzino di sottolineare come le due arti musicali, quella cattolica e quella protestante, non siano poi così dissimili, un’analisi approfondita al cuore di entrambe le espressioni musicali – il canto gregoriano cattolico e il corale luterano – dimostrano come esse siano due forme diametralmente opposte nella loro essenza più intima.

Per comprendere meglio, occorre partire da un esempio di ciò che in comune esista realmente tra i due canti. Lutero, quando elaborò il culto per la sua religione, capì bene come esso dovesse accompagnarsi ad una rivoluzione liturgica e musicale: prese alcuni canti gregoriani e li “trasformò” in nuovi canti in tedesco. È così che, solo per fare due esempi piuttosto noti, l’inno d’Avvento Veni Redemptor gentium divenne il corale Nun komm, der Heiden Heiland, la sequenza di Pasqua Victimae paschali si tramutò nel Christ lag in Todesbanden.

Da un punto di vista tecnico, Lutero prese le melodie gregoriane e le regolarizzò ritmicamente dando loro una scansione in battute. Questa semplice operazione – che in soli due esempi magari dice poco – è ben lungi dall’essere solamente un “adattamento” musicale. Ad essa soggiace un totale ribaltamento teologico, che riguardò, più in generale, tutto il repertorio della Messa.

Un’analisi attenta del gregoriano ha dimostrato (e dimostra tuttora) come ogni singolo neuma, espressione di ogni singola nota, posto su ogni sillaba può possedere diverse sfumature ritmico-esecutive. Questa policroma varietà del repertorio gregoriano della Messa (introiti, graduali, tratti, alleluia, offertori, antifone di comunione) è motivata dal fatto che ogni sillaba o parola, all’interno della frase liturgica su cui è posta, può avere un peso retorico più o meno pronunciato. Le parole ecce (ecco), ad esempio, o veni (vieni), avranno un significato simbolico-teologico maggiore in un tempo come l’Avvento, così come la parola miserere in Quaresima o coeli all’Ascensione.

Attraverso i neumi, dunque, i compositori gregoriani offrivano una lettura ritmica del brano, che rispondesse perfettamente all’esegesi fatta dalla Chiesa cattolica di quel determinato passo. Attraverso numerosi espedienti ritmici e retorici, determinate parole venivano rallentate, allargate, amplificate, sottolineate, proprio per la loro valenza fortemente esegetica: il puer (bambino) nell’introito Puer natus di Natale, i termini reges (re) dell’offertorio Reges Tharsis dell’Epifania o la parola spiritus (spirito) dell’introito di Pentecoste Spiritus Domini, solo per fare qualche esempio.

La notazione dei neumi, dunque, non è altro che un cambiamento del normale andamento ritmico e musicale a causa di un intervento che la Chiesa docente vuole fare su una determinata parola, frase o brano a scopi esclusivamente esegetici. Questa fittissima rete di regole ritmiche crea una varietà assolutamente unica. Ed è esattamente per questa severissima rigidità interpretativa, al di fuori della quale non è possibile camminare, che il gregoriano è il canto della Chiesa: perché della Chiesa è l’interpretazione delle Scritture. Sta tutto qui il segreto della cattolicità del gregoriano.

L’ex-monaco Lutero, che definiva il canto gregoriano un «ragliare», questo lo sapeva molto bene. E, proprio perché ne era a conoscenza, decise di prendere nettamente le distanze dall’ecclesiologia e teologia veicolate da quella musica, creandone una che, al contrario, fosse perfettamente congrua ad essere cantata da tutti. Il gregoriano, nella sua iridescenza ritmica e nella sua altissima complessità, è tutt’altro che un canto assembleare: è un canto solistico, come “solistica”, del resto, è l’interpretazione del testo sacro da parte del Magistero. Il cantore gregoriano traduce in musica ciò che il sacerdote proclama dall’altare: è un canto fortemente verticistico, come verticistica è la Chiesa.

Il corale luterano, invece, annulla e azzera totalmente le ricchezze ritmiche dei neumi: il canto della Riforma, infatti, è mensurale, diviso in battute e facilmente cantabile da chiunque, come nelle intenzioni dell’eretico fondatore. L’andamento isoritmico del corale si contrappone anche alla polifonia cattolica, basata sul contrappunto di scuola romana. Tutto, nella forma corale inventata da Lutero, è concepito affinché possa essere facilmente gestito da tutti e cantato da tutti.

La visione musicale e teologica luterana si contrappone esattamente a quella cattolica: alla salda e rigida vocalità gregoriana, espressione dell’esegesi della Chiesa, Lutero preferì una musica “corale” e comunitaria così come comunitarie e di tutti sono la liturgia e l’interpretazione delle scritture. Esattamente come avviene oggi col Novus Ordo.

 

Questo testo di Mattia Rossi è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it

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