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Svenduti al comunismo

Attualità25 Aprile 2018
Testo dell'audio

Cina, l’allarme giunse lo scorso gennaio: l’agenzia AsiaNews riferì di un «prelato straniero» del Vaticano, che avrebbe obbligato il Vescovo legittimo di Shantou, mons. Pietro Zhuang Jianjian, approvato dalla Santa Sede nel 2006, a recarsi a Pechino, per intimargli di farsi da parte e lasciare la sua Cattedra al vescovo illegittimo, Giuseppe Huang Bingzhang, ordinato sette anni fa senza mandato pontificio e quindi scomunicato. Il pressante invito gli sarebbe stato ripetuto tanto a ottobre quanto a dicembre. Allo stesso modo, mons. Giuseppe Guo Xijin, Vescovo legittimo di Mindong, era stato indicato quale ausiliare del vescovo illegittimo Vincenzo Zhan Silu.

Una notizia dirompente, in grado di rendere in breve tempo autocefala la Chiesa cinese rispetto a Roma e di consegnarla totalmente nelle mani del Partito comunista al governo. All’inizio i cattolici hanno provato sconcerto, confusione, incredulità: non può essere, si mormorava…

Ma la conferma è giunta, autorevolissima, di lì a poco, da parte del card. Joseph Zen, Vescovo emerito di Hong Kong, che, in una propria nota sul suo blog, ha ribadito tutto. Della questione mons. Savio Hon Taifai informò papa Francesco già lo scorso ottobre: «Il Santo Padre era sorpreso e promise che avrebbe studiato il caso». Lo scorso 10 gennaio, in occasione dell’udienza generale del mercoledì, lo stesso card. Zen consegnò al Pontefice una lettera scrittagli da un «afflitto» mons. Pietro Zhuang, il Vescovo legittimo richiesto di farsi da parte.

La sera dello stesso giorno il card. Zen venne ricevuto in udienza privata dal Papa. Il quale lo assicurò d’aver detto ai suoi collaboratori «di non creare un altro caso Mindszenty». Il card. Josef Mindszenty, arcivescovo di Budapest, primate di Ungheria sotto la persecuzione comunista, dopo anni di prigionia venne liberato durante la breve insurrezione del 1956 e trovò rifugio presso l’ambasciata americana: sotto la pressione del governo, la Santa Sede gli ordinò di lasciare il Paese e nominò un suo successore, “gradito” al governo comunista.

«Riconosco di essere pessimista riguardo alla presente situazione della Chiesa in Cina – ha commentato il card. Zen – ma il mio pessimismo è basato sulla mia lunga e diretta esperienza» della «schiavitù e dell’umiliazione a cui i nostri fratelli Vescovi sono soggetti». Con la proposta “unificazione” della comunità cattolica sommersa, fedele a Roma, e di quella ufficiale, fedele al partito comunista, «il Vaticano darebbe la benedizione a una nuova e più forte Chiesa scismatica. Ci può essere qualcosa di “comune” con un regime totalitario? Così forse io penso che il Vaticano stia svendendo la Chiesa cattolica in Cina? Sì, decisamente».

Del resto, che il Papa sapesse, è stato formalmente dichiarato lo scorso 30 gennaio dal direttore della Sala Stampa vaticana, Greg Burke: «Il Papa è in costante contatto con i suoi collaboratori, in particolare della Segreteria di Stato, sulle questioni cinesi e viene da loro informato in materia fedele e particolareggiata sulla situazione della Chiesa cattolica in Cina e sui passi del dialogo in corso tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese, che egli accompagna con speciale sollecitudine – ha dichiarato – Desta sorpresa e rammarico, pertanto, che si affermi il contrario da parte di persone di Chiesa e che si alimentino così confusione e polemiche».

Parole, queste, che hanno amareggiato il card. Zen: «Questa dichiarazione ha detto tre cose: 1) esplicitamente: il papa sapeva che cosa essi stessero facendo; 2) implicitamente: il papa era d’accordo su quanto essi facevano; 3) le mie parole hanno provocato confusioni e polemiche». Eppure, «il papa ha realmente detto all’arcivescovo Hon: “Perché quel gruppo [di lavoro vaticano] non mi ha consultato?”». Dunque, quale versione è da ritenersi corretta? Perché queste contraddizioni, queste ambiguità? Essenziale – spiega il card. Zen – è «che la gente capisca che stanno facendo cose sbagliate e che essi capiscano» di fermarsi «in tempo».

Dopo qualche giorno, all’inizio di febbraio, giunse un’ulteriore conferma dal Segretario di Stato vaticano, il card. Pietro Parolin: in Cina la Santa Sede è risoluta nel giungere a patti con la dittatura comunista. Lo ha dichiarato nel corso di un’intervista, durante la quale ha negato che nel Paese vi siano «due chiese», quasi ponendo sullo stesso piano quella cattolica o «sotterranea», finora vissuta nelle catacombe, e l’Associazione Patriottica, totalmente sganciata da Roma e guidata da Vescovi eretici e scomunicati. Secondo lui, si tratterebbe, in realtà, di «due comunità di fedeli, chiamate a compiere un percorso progressivo di riconciliazione verso l’unità», parla di «ferite personali inflitte reciprocamente», come se fossero semplici bisticci tra parrocchie, quelli da risolvere.

Il card. Parolin ha citato la Lettera ai Vescovi, ai presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese di Benedetto XVI, ma solo estrapolandone alcuni passi e tralasciandone totalmente altri, come il n. 7, dove dell’Associazione Patriottica Benedetto XVI criticò con fermezza la volontà «di attuare “i principi di indipendenza e autonomia, autogestione e amministrazione democratica della Chiesa”», poiché ciò «è inconciliabile con la dottrina cattolica, che fin dagli antichi Simboli di fede professa la Chiesa “una, santa, cattolica e apostolica”».

Secondo il card. Pietro Parolin, ciò corrisponderebbe a «trovare soluzioni pastorali realistiche». Ed ha aggiunto: «Se non siamo pronti a perdonare, significa purtroppo che ci sono altri interessi da difendere: ma questa non è una prospettiva evangelica». Intimando con tono insolitamente perentorio che «nessuno si aggrappi ad uno spirito di contrapposizione per condannare il fratello o che utilizzi il passato come pretesto per fomentare nuovi risentimenti e chiusure». E prendendosela con chi provochi «sterili polemiche, che danneggiano la comunione e che rubano le speranze in un futuro migliore».

Il card. Zen, di nuovo, si è sentito in dovere di intervenire, avendo l’impressione, ha scritto, «che fra poco tempo non potrò più parlare». Ed il suo è stato un giudizio durissimo sul card. Parolin: «Ma quest’uomo di poca fede capisce che cos’è una vera sofferenza? I fratelli e le sorelle del continente cinese non hanno paura di essere ridotti in povertà, di esser messi in prigione, di versare il sangue, la loro sofferenza maggiore è di vedersi traditi dai “familiari”». Ed, ha proseguito, «l’intervista di Parolin è piena di opinioni sbagliate» e «non è decente per un alto dirigente della Santa Sede manipolare la lettera» di Benedetto XVI. Di nuovo è tornato in tema sul suo blog con un altro intervento: «Quello che vediamo è che [il card. Parolin] adora la diplomazia dell’Ostpolitik del suo maestro Casaroli e disprezza la genuina fede di coloro che con fermezza difendono la Chiesa fondata da Gesù sugli Apostoli da ogni ingerenza di potere secolare». Definisce la sua compassione verso le condizioni dei cattolici cinesi come «lacrime di coccodrillo». E prosegue, perentorio: «Il Vaticano ha soffocato il dialogo all’interno della Chiesa».

Quasi contemporaneamente all’uscita dell’intervista del card. Parolin, il regime cinese ha posto subito in atto misure che han dimostrato al mondo intero come, in questa strana “trattativa”, a cedere non sia certo il partito. Oltre ai vari Vescovi e sacerdoti ancora incarcerati, torturati e rapiti, coi nuovi regolamenti per le attività religiose, entrati in vigore lo scorso primo febbraio, la dittatura ha assolutamente proibito ai fedeli di frequentare le Messe dei sacerdoti “clandestini” di Shanghai (quelli regolarmente ordinati), pena l’arresto. Ha impedito ai giovani cattolici qualsiasi ritiro o raduno religioso privato nelle scuole, nelle università, persino nelle parrocchie in Shanxi e nella Mongolia interna, e autorizzato controlli anche serrati presso le comunità ufficiali, oltre a multe, arresti ed espropri per chi faccia parte, invece, delle comunità non ufficiali.

Alle scuole religiose è stato consentito di riunirsi solo nel caso si sia registrati e soprattutto solo sotto il controllo dello Stato. Tutti gli altri casi, compresa la celebrazione di S. Messe, sono stati inquadrati come «attività religiose illegali» e come tali trattati. Non solo: coi nuovi regolamenti si sono costrette in molte regioni del Paese chiese, luoghi di culto e strutture ecclesiali ad esporre un cartello di divieto d’accesso ai bambini. Chi si rifiuta, chiude. Si tratta di un provvedimento analogo a quello già  assunto per circoli e blog ecclesiali su Internet, che peraltro devono essere tutti registrati, per poter svolgere le proprie attività.

«Non abbiate paura – ha rassicurato il card. Zen – perché il Signore risana i cuori affranti».

Eppure il regime, forse certo ormai di aver campo libero, ha deciso di usare il pugno di ferro ed ha spedito nei campi di «rieducazione» oltre cento cristiani della regione autonoma Uigur, a Xinjiang, nel nord-ovest del Paese, affinché imparino ad essere fedeli all’ideologia comunista. Anche con la repressione. Tali strutture sono tristemente note come «centri di trasformazione mentale».

Secondo World Watch Monitor, i cristiani trasferiti nei campi di «rieducazione» non sanno per quanto tempo possa durare la loro permanenza: per alcuni un mese, per altri sei, per altri anni. Si tratta di padri o madri – a volte entrambi -, costretti a lasciare i propri figli, senza sapere nemmeno quando potranno rivederli.

Tutto questo ha reso surreali ed, in qualche modo, involontariamente, ma anche drammaticamente ironiche le parole pronunciate in quegli stessi giorni dall’arcivescovo argentino mons. Marcelo Sánchez Sorondo, Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze: «In questo momento, i cinesi sono coloro che meglio realizzano la Dottrina sociale della Chiesa», davvero incredibile.

Alcuni mesi prima mons. Sorondo si era recato in visita a Pechino per la prima volta e ne era tornato entusiasta, al punto da dichiarare all’agenzia Vatican Insider: «[I cinesi] cercano il bene comune. Ho trovato una Cina straordinaria: tutto fa perno intorno al lavoro. Sullo sfondo risuonano le parole di San Paolo: chi non lavora, neppure mangi. Non ci sono baraccopoli, non c’è droga, non ci sono giovani tossicodipendenti. C’è una coscienza nazionale positiva, vogliono dimostrare che sono cambiati, accettano già la proprietà privata».

Mons. Sorondo non si è fermato nemmeno davanti all’evidenza, di cui parlano missionari e le stesse agenzie cattoliche: secondo lui, vi sarebbero molti punti di accordo tra la Santa Sede e Pechino, dove è giunto addirittura a dire che «si tutela la dignità della persona» più che altrove, si rispetta l’accordo Cop21 sull’emissione di gas e la Cina starebbe «assumendo una leadership morale, che gli altri hanno lasciato».

Persino nel campo della donazione d’organi, secondo mons. Sorondo la Cina sarebbe «cresciuta enormemente», lasciandosi alle spalle l’espianto forzato (riconosciuto e abolito come pratica nel 2005, almeno ufficialmente…) ed avrebbe anzi avviato un sistema «molto interessante», che collegherebbe digitalmente donatori e destinatari in tutto il Paese. Secondo lui, «non si può pensare che la Cina di oggi sia la stessa dei tempi di Giovanni Paolo II o della Russia della Guerra fredda».

Parole davvero imbarazzanti: sostituire il mondo reale con una sua parodia utopica ed irreale non aiuta ad affrontare i problemi, né a trovare le soluzioni. Parole, cui comunque ha fatto eco l’appello giunto da un qualificato gruppo di personalità cattoliche di spicco di Hong Kong (tra le quali avvocati, docenti universitari, intellettuali,…), che hanno scritto una lettera aperta ai Vescovi di tutto il mondo, chiedendo di opporsi all’accordo tra la Cina ed il Vaticano sulle nomine episcopali, accordo definito «un errore deplorevole ed irreversibile». L’appello è stato rilanciato da varie agenzie internazionali, tra cui Free Catholics in China, AsiaNews e InfoCatólica.

Gli autori di questo appello hanno esplicitamente preannunciato, nel caso i sette “vescovi” illegittimi fossero riconosciuti dalla Santa Sede, la creazione in Cina di «uno scisma nella Chiesa», Chiesa che a quel punto non godrebbe più nemmeno «della fiducia del popolo».

 

Questo testo di Luigi Bertoldi è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it

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