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Soldati di Dio (Parte II)

Storia16 Luglio 2021
Testo dell'audio

C’è un altro aspetto dell’ «inutile strage» della Prima Guerra Mondiale che non può essere trascurato ovvero la presenza dei Cappellani militari, chiamati i «soldati di Dio», che furono tra le figure più importanti e significative del popolo in armi. I soldati italiani che parteciparono alla guerra avevano una Fede e il più delle volte una Fede profonda. La cosa era molto spesso annotata non soltanto dai soldati nelle loro bellissime e struggenti lettere alle famiglie o nei loro appunti, ma nelle stesse memorie degli ufficiali.

L’esigenza di provvedere stabilmente all’assistenza spirituale dei militari ha origini antiche, fin dai tempi di Costantino. Dal periodo carolingio (VIII-IX sec. d.C.) divenne usuale la presenza di un corpo di Sacerdoti e Diaconi organizzati al seguito dell’Esercito, con un capo, detto Cappellano Maggiore o Vicario Castrense. Tale organizzazione divenne sempre più indipendente dai Vescovi locali. Nel 1865 le Forze armate del Regno d’Italia contavano 189 cappellani. Con l’occupazione di Roma del 1870 e le leggi anticlericali il numero fu ridotto fino alla completa eliminazione del 1878.

Con la circolare del 12 aprile 1915 il Generale Cadorna reintrodusse la figura del cappellano e furono arruolati diecimila «sacerdoti-soldati», di cui 2.070 destinati ai corpi combattenti. Il 1° giugno 1915 la Sacra Congregazione Concistoriale nominò il primo Vescovo Castrense, Monsignor Angelo Bartolomasi, che ricoprì l’incarico per i quattro anni di guerra, durante i quali 110 cappellani seguirono i propri reparti nei campi di prigionia; ne morirono 93, mentre a 435 furono consegnate le medaglie al valor militare.

L’assistenza religiosa era garantita con l’assegnazione di un cappellano ad ogni reggimento: fanteria, granatieri, bersaglieri, artiglieria e uno ogni battaglione di alpini, guardie di finanza e arditi. Un cappellano era altresì previsto in ogni unità sanitaria (ogni 400 posti letto circa), compresi i treni ospedali. Il Vescovo da Campo era coadiuvato da tre Cappellani Vicari, equiparati a loro volta al grado di maggiore; vi erano poi le figure del Cappellano coadiuvatore, del Cappellano capo d’armata, parificati al grado di capitano, nonché quella del Cappellano ordinario, equiparato al grado di tenente.

Sia gli ufficiali che i soldati semplici stringevano rapporti molto stretti con il cappellano, cui confessavano i propri peccati e confidavano dubbi, ricordi, malinconie e speranze. Fede, religione, vita e guerra si intrecciavano e si sovrapponevano. Uno degli incarichi svolti dai cappellani consisteva nel facilitare la comunicazione fra l’esercito e le famiglie. Nelle visite ai vari reparti delle trincee, essi si presentavano spesso con qualche piccolo dono a proprie spese: immagini sacre, medagliette religiose, ma anche coperte di lana, fazzoletti, sigarette, tabacco e generi di ristoro.

Il momento più atteso dai cappellani militari era la celebrazione della Santa Messa, che si poteva svolgere nelle situazioni più imprevedibili, e intorno all’altare la maggior parte dei presenti trovava ristoro e nuovo coraggio. Inoltre i sacerdoti amministravano il sacramento della prima comunione, preparavano i soldati alla cresima e alle loro cure erano affidati i cimiteri di guerra. Talvolta dovevano assistere i condannati a morte dai tribunali militari oppure quelli destinati alle decimazioni senza processo. Molti di loro, durante l’infuriare della battaglia, furono presenti in trincea a confortare gli agonizzanti.

Molti morirono durante le battaglie in trincea, altri mentre erano impegnati in azioni di soccorso, come risulta dai toccanti diari degli stessi soldati, con i quali condividevano sorte e Fede.

 

Questo testo di Cristina Siccardi è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it

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