Soldati di Dio (Parte II)

C’è un altro aspetto dell’ «inutile strage» della Prima Guerra Mondiale che non può essere trascurato ovvero la presenza dei Cappellani militari, chiamati i «soldati di Dio», che furono tra le figure più importanti e significative del popolo in armi. I soldati italiani che parteciparono alla guerra avevano una Fede e il più delle volte una Fede profonda. La cosa era molto spesso annotata non soltanto dai soldati nelle loro bellissime e struggenti lettere alle famiglie o nei loro appunti, ma nelle stesse memorie degli ufficiali.
L’esigenza di provvedere stabilmente all’assistenza spirituale dei militari ha origini antiche, fin dai tempi di Costantino. Dal periodo carolingio (VIII-IX sec. d.C.) divenne usuale la presenza di un corpo di Sacerdoti e Diaconi organizzati al seguito dell’Esercito, con un capo, detto Cappellano Maggiore o Vicario Castrense. Tale organizzazione divenne sempre più indipendente dai Vescovi locali. Nel 1865 le Forze armate del Regno d’Italia contavano 189 cappellani. Con l’occupazione di Roma del 1870 e le leggi anticlericali il numero fu ridotto fino alla completa eliminazione del 1878.
Con la circolare del 12 aprile 1915 il Generale Cadorna reintrodusse la figura del cappellano e furono arruolati diecimila «sacerdoti-soldati», di cui 2.070 destinati ai corpi combattenti. Il 1° giugno 1915 la Sacra Congregazione Concistoriale nominò il primo Vescovo Castrense, Monsignor Angelo Bartolomasi, che ricoprì l’incarico per i quattro anni di guerra, durante i quali 110 cappellani seguirono i propri reparti nei campi di prigionia; ne morirono 93, mentre a 435 furono consegnate le medaglie al valor militare.
L’assistenza religiosa era garantita con l’assegnazione di un cappellano ad ogni reggimento: fanteria, granatieri, bersaglieri, artiglieria e uno ogni battaglione di alpini, guardie di finanza e arditi. Un cappellano era altresì previsto in ogni unità sanitaria (ogni 400 posti letto circa), compresi i treni ospedali. Il Vescovo da Campo era coadiuvato da tre Cappellani Vicari, equiparati a loro volta al grado di maggiore; vi erano poi le figure del Cappellano coadiuvatore, del Cappellano capo d’armata, parificati al grado di capitano, nonché quella del Cappellano ordinario, equiparato al grado di tenente.
Sia gli ufficiali che i soldati semplici stringevano rapporti molto stretti con il cappellano, cui confessavano i propri peccati e confidavano dubbi, ricordi, malinconie e speranze. Fede, religione, vita e guerra si intrecciavano e si sovrapponevano. Uno degli incarichi svolti dai cappellani consisteva nel facilitare la comunicazione fra l’esercito e le famiglie. Nelle visite ai vari reparti delle trincee, essi si presentavano spesso con qualche piccolo dono a proprie spese: immagini sacre, medagliette religiose, ma anche coperte di lana, fazzoletti, sigarette, tabacco e generi di ristoro.
Il momento più atteso dai cappellani militari era la celebrazione della Santa Messa, che si poteva svolgere nelle situazioni più imprevedibili, e intorno all’altare la maggior parte dei presenti trovava ristoro e nuovo coraggio. Inoltre i sacerdoti amministravano il sacramento della prima comunione, preparavano i soldati alla cresima e alle loro cure erano affidati i cimiteri di guerra. Talvolta dovevano assistere i condannati a morte dai tribunali militari oppure quelli destinati alle decimazioni senza processo. Molti di loro, durante l’infuriare della battaglia, furono presenti in trincea a confortare gli agonizzanti.
Molti morirono durante le battaglie in trincea, altri mentre erano impegnati in azioni di soccorso, come risulta dai toccanti diari degli stessi soldati, con i quali condividevano sorte e Fede.
Questo testo di Cristina Siccardi è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it