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Scuola e media: in Spagna il regime comunista inizia da qui

Zoom: una notizia alla settimana09 Novembre 2020
Testo dell'audio

Il detto popolare, secondo cui «l’edera, dove si attacca, muore», indica la tenacia, con cui tale pianta resta avvinghiata ovunque si arrampichi, un po’ come il comunismo col potere: ovunque riesca a conquistarlo, non lo molla più, se non vendendo molto cara la propria pelle, infischiandosene dei bla bla sui diritti umani e sulle varie  libertà. Lo si vede in Cina, lo si vede in Corea del Nord, lo si vede a Cuba, ora lo si vede anche in Spagna, dove settori-chiave, come quelli della scuola, della libertà d’opinione e di stampa sono oggi sotto attacco.

Per la seconda volta in poco tempo, infatti, la Commissione europea è dovuta intervenire nei giorni scorsi per monitorare lo stato di salute della democrazia nel Paese iberico, a fronte di disposizioni sospette, assunte dal governo di Pedro Sánchez, disposizioni che rischiano di minare le regole comunitarie di rispetto dello Stato di diritto. Nel mirino è finita ora l’ordinanza ministeriale, messa a punto ufficialmente per contrastare la disinformazione, ma sospettata d’esser in realtà una legge-bavaglio camuffata, con l’obiettivo di cancellare la libertà di stampa, approfittando dell’emergenza sanitaria dettata dalla pandemia, e senza previa consultazione dei diretti interessati ovvero dei media. Nella bozza ministeriale si fa riferimento a normative europee che o ancora non esistono – come nel caso dell’European Democracy Action Plan, in via di definizione e non ancora approvato, oppure a testi, che si propongono, in realtà, obiettivi molto diversi da quelli citati indebitamente ed a sproposito, come nel caso del Servizio europeo di Azione Esterna, un dipartimento del quale, incaricato di monitorare i flussi di informazioni, si limita a denunciare e ad evidenziare eventuali notizie, provenienti da Paesi extraeuropei, potenzialmente in grado di influenzare i processi politici del Continente. Nulla di più.

Il governo Sánchez ha già ricevuto in proposito, nei giorni scorsi, un reclamo formale da parte dei deputati del Parlamento europeo, che hanno inviato un’interrogazione scritta alla Commissione, chiedendo, tra l’altro, «se ritenga che il controllo dei contenuti dei media da parte del governo di uno Stato membro sia compatibile con i principi, i valori e la legislazione dell’Unione europea» o se, viceversa, introduca principi illegittimi di censura preventiva. Nella seconda ipotesi, l’Europa potrebbe addirittura giungere a sospendere i propri aiuti.

Non solo. Anche la Scuola è sotto attacco in Spagna. La piattaforma «Más plurales», che riunisce diverse organizzazioni di genitori e sindacati, infatti, non solo ha manifestato dinanzi al Congresso dei deputati contro la proposta di legge Celaá sull’istruzione, ma ha anche mobilitato il popolo di Twitter a favore della libertà di educazione.

«Más plurales», nel manifesto messo a punto, non usa giri di parole: la normativa, voluta dal governo socialcomunista in carica (Psoe, Podemos e Más País, in particolare), senza nemmeno tentare attorno ad essa «negoziazioni, dialogo» o ricerca del «consenso», è «faziosa, ingiusta e discriminatoria», nonché fortemente «ideologica» in quanto «elimina i diritti e le libertà individuali e collettive», «attaccando la pluralità del nostro sistema educativo, fondamentale in una società democratica».

Genitori ed associazioni intendono difendere inoltre l’insegnamento della religione contro «l’imposizione di un’ideologia laicista indegna di uno Stato non confessionale», specie in un Paese, ove tale materia viene scelta liberamente e volontariamente ogni anno da tre quarti delle famiglie spagnole, «la cui volontà deve essere rispettata», tenendo anche conto di come «la formazione ai valori etici, filosofici o religiosi contribuisca a migliorare il rendimento e lo sviluppo integrale della persona».

Sempre approfittando della pandemia, l’obiettivo del governo socialcomunista, secondo «Más plurales», è quello di far approvare il testo di legge al più presto e senza alcun «dibattito sociale», per imporre la scuola pubblica, azzerando quella paritaria e, con essa, anche la pluralità d’insegnamento, privando oltre tutto le famiglie della libertà di scelta educativa. Per questo «Más plurales» ha preannunciato una nuova mobilitazione per questo giovedì.

Che, del resto, lo stato di salute della pubblica istruzione, in Spagna, sia precario lo rivela anche il rapporto, recentemente pubblicato dalla Fondazione SM, dal titolo «Panorama della religione nella Scuola», redatto su un vasto campione di 18.800 intervistati tra insegnanti, studenti e famiglie: da tale studio emerge in modo chiaro come la schiacciante maggioranza dei docenti di religione cattolica, il 41,4%, si dichiari di sinistra o di centrosinistra e solo il 32,2% di destra o centrodestra. Ma ciò che maggiormente sconcerta, entrando ancor più nel dettaglio, è come il 14,8% si dica esclusivamente di centro, il 14,6% esclusivamente di sinistra e soltanto l’1,1% esclusivamente di destra. L’11,4%, invece, preferisce non posizionarsi o non rispondere.

L’85% dei docenti di religione, che per lo più sono laici, ha affermato d’esser preoccupato per temi quali giustizia e solidarietà, mentre il 75% si interessa di ambientalismo, temi certamente più sociologici che religiosi.

Dal rapporto emerge anche come, per oltre il 70% delle famiglie, ormai sia ampiamente ingiustificato accusare la Chiesa di «indottrinamento» o di «privilegi» nel sistema scolastico spagnolo. E, con queste premesse, v’è da crederlo; ma v’è da chiedersi anche cosa e quanto, della dottrina realmente cattolica, sia rimasto in tale insegnamento. Se oggi la Spagna sta vivendo una deriva verso l’estrema sinistra, forse le responsabilità sono da ricercarsi anche nel crescente lassismo a livello religioso, morale, valoriale e quindi sociale.

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