Santo Sepolcro: da Costantino ad oggi

La grande Basilica fatta costruire da Costantino venne inaugurata nel 336 d.C. Della pianta di allora, malgrado le numerose distruzioni, rifacimenti e modifiche, si possono riconoscere alcuni resti ancora oggi.
La prima distruzione
La prima grande distruzione avvenne nel 1009 ad opera del califfo fatimita di Egitto al-Hakim bi-Amr Allah, che ordinò di abbattere completamente la chiesa del Santo Sepolcro. Per 11 anni ai cristiani fu interdetto l’accesso. Verso la metà del secolo iniziò la ricostruzione che, del vecchio edificio, mantenne la sola Anastasis, sotto la quale vi era il Santo Sepolcro. I Crociati, arrivati a Gerusalemme il 15 luglio del 1099, riunirono tutti i luoghi santi (Golgota, pietra dell’Unzione, Cappella di S. Elena, Cripta del Ritrovamento della S. Croce, Sepolcro) in un’unica chiesa a forma di croce e ripararono il Sepolcro costruendogli al di sopra una Edicola.
All’ingresso della nuova chiesa si poteva leggere una iscrizione latina, scolpita in bronzo sopra la porta principale: «Questo luogo santo fu santificato dal sangue di Cristo, e perciò la nostra consacrazione non aggiunge nulla alla sua santità. Tuttavia, l’edificio che copre questo luogo santo fu consacrato il 15 di luglio dal patriarca Fulcherio e da altri dignitari, nel quarto anno del suo patriarcato e nel 50mo anniversario della conquista della città, che brilla come oro puro. Nell’anno 1149mo dalla nascita di Cristo».
Nelle mani di Saladino
Nel 1188 Saladino riconquistò Gerusalemme. La chiesa del Santo Sepolcro fu chiusa. Il pellegrino Thietmar nel 1217 scrisse che la chiesa dei Santo Sepolcro e il luogo della Passione «stanno sempre chiusi, senza culto e senza onore, e non si aprono che qualche volta ai pellegrini, per forza di danaro». Fino al 1246 i Latini furono alternativamente ammessi o scacciati dalla Basilica che venne lentamente abbandonata. Fu allora che il Sultano Ajub si scusò con Papa Innocenzo IV.
Riparati i danni, le chiavi della Basilica furono affidate a due famiglie musulmane, i Nuseibeh e i Judeh, affinché la aprissero all’arrivo dei pellegrini. I custodi delle chiavi del Santo Sepolcro aprirono la chiesa soltanto in certi giorni e non prima di aver ricevuto un adeguato compenso, che fu abolito solo nel 1831. Ma le chiavi, ancora oggi, sono nelle loro mani, oltre che in quelle dei rappresentanti delle comunità cristiane dei Latini, degli Ortodossi e degli Armeni. I mosaici parietali cominciarono a cadere a pezzi e dopo di essi l’intera struttura iniziò a deperire.
Ai frati francescani
Perduta la possibilità di recuperare con le armi i Luoghi Santi, i Sovrani d’Occidente intavolarono trattative con i Sultani per difendere il culto cattolico nel Santuario e l’assistenza ai pellegrini. L’onore fu dato ai Francescani che, dal 1335, si stabilirono nel convento del Monte Sion. La Bolla Gratias agimus di papa Clemente VI sancì il diritto dei frati di abitare nella Chiesa del Sepolcro ed celebrarvi solennemente le Messe e gli altri uffici divini.
I frati, intanto, nel 1435, nell’Edicola del Santo Sepolcro avevano rimpiazzato un altare fisso con quello mobile di legno per potervi celebrare la S. Messa, “ne nulla altra natione de religiosi po’ dir la Messa in questo Sepolcro, senza nostra particolar licentia, per essere quello in nostra custodia et guardia. Del qual etiam tenimo la chiave“. Anche il pellegrino domenicano Felix Faber nel 1483 dichiarò che “le chiavi del dolcissimo Sepolcro le hanno gli stessi Frati Minori e lo aprono e lo chiudono a chi vogliono ed in esso celebrano le Messe quando loro piace“.
27 agosto 1555, ore 16
Nel 1555 Bonifacio da Ragusa, Custode di Terra Santa, ottenne il permesso di effettuare alcuni restauri nella basilica e costruire una nuova Edicola. Dell’importante restauro il francescano conservò una dettagliata descrizione. Era quella la prima volta dal 1009, cioè da quando il Sepolcro venne abbattuto dal piccone dei soldati di Hakim, che la nuda roccia della tomba si mostrava ad un occhio umano. Il letto funebre sul quale era stato adagiato il corpo del Signore fu riportato alla luce il 27 agosto 1555, alle quattro del pomeriggio.
I lavori incominciarono e «dopo l’abbattimento fu offerta apertamente ai nostri occhi la vista del santissimo sepolcro del Signore. In esso si vedevano dipinti due angeli, a strati sovrapposti; uno aveva la scritta: Surrexit non est hic (“È risorto, non è qui”), l’altro invece, che indicava col dito il sepolcro: ecce locus ubi posuerunt eum (“ecco il luogo dove l’avevano deposto”). Queste immagini si dissolsero appena presero aria. Quando si dovette necessariamente levare una delle tavole alabastrine [marmo] che coprivano il Sepolcro e che aveva posto là santa Elena per permettere su di esse la celebrazione del sacrosanto mistero della Messa, ci si mostrò aperto quel luogo ineffabile nel quale il figlio dell’uomo riposò per tre giorni, […], con il sacrosanto sangue del Signore Gesù misto all’unguento col quale era stato unto per la sepoltura. […] Nel mezzo di quel sacrosanto luogo era collocato un pezzo di legno, avvolto in un sudario prezioso. Appena lo prendemmo in mano per baciarlo reverentemente e fu esposto all’aria, il sudario si dissolse nelle nostre mani e rimasero di esso solamente alcuni fili d’oro. C’erano alcune iscrizioni aggiunte a quel prezioso legno, ma così corrose dal tempo che non si poté estrarre da esse alcuna frase compiuta, sebbene in principio di una pergamena si leggessero queste parole in lettere latine maiuscole: Helena Magni … (“Elena, del grande [Costantino madre] …”)».
Questo testo di Dianora Citi è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it