Santa Scorese

Era il 15 marzo 1991 quando uno psicopatico decise di mettere fine alla sua giovane vita: aveva appena 23 anni. Solo sette anni dopo la scomparsa, la Curia arcivescovile di Bari avviò il processo di beatificazione per il martirio subìto in difesa della castità; la fase diocesana venne convalidata il 14 Aprile 2000 dalla Congregazione per le Cause dei Santi, che da allora ha preso in esame la relativa documentazione. Parliamo della serva di Dio Santa Scorese. Barese di nascita, si trasferì con la propria famiglia a Palo del Colle, a pochi chilometri dal capoluogo pugliese, dove dedicò la sua vita ai poveri, agli anziani ed alla parrocchia, facendo anche la catechista.
Il suo assassino non era un suo amico, tanto meno un ex-fidanzato. Oltre a pedinarla, faceva appostamenti, inviandole anche lettere inquietanti, nonostante le ripetute denunce del padre poliziotto. Per tre anni Santa fu sempre “scortata” dal padre, dalla madre o dagli amici, tranne che in quella fatidica sera in cui, agonizzante, espresse parole di perdono per il suo carnefice. Ma cosa esattamente successe quella sera? Santa non volle essere accompagnata, perché aveva preso la macchina e, facendo un po’ d’ironia, disse ai suoi amici: «Male che vada, chi posso incontrare a quest’ora… proprio lui?».
Sì, certo, proprio lui. Nascosto dietro ad una colonna del palazzo, in cui abitava. Dalla biografia di Santa Scorese, Anche sul mare volano le aquile, scritta da Carmencita Picaro, missionaria dell’Immacolata Padre Kolbe, con cui aveva stretto un profondo rapporto di amicizia spirituale, riportiamo alcuni brani, per capire come siano andate le cose: «Dopo aver parcheggiato l’auto nel cortile si avviò verso il portone, suonò al citofono e venne pugnalata alle spalle, mentre il papà, rispondendo, chiedeva insistentemente chi fosse, senza ottenere risposta. Quindi si affacciò al balcone e vide Santa distesa a terra, mentre l’omicida era intento a ferirla ancora. Seguirono forti grida… Papà Piero scese di corsa le scale nel tentativo di fermarlo per salvare Santa. Intanto la mamma Angela, allarmata, chiamò l’ambulanza. Accorsero nel frattempo anche l’altra figlia Rosa Maria con il marito.
La corsa verso l’ospedale sembrava non finire mai. Santa era lucida, perfettamente cosciente e disse: “Papà, chiama don Tino” (il suo confessore). Don Tino arrivò alcuni minuti dopo, ma non ebbe la possibilità di parlare con lei… la stavano portando in rianimazione. La ferita che aveva ricevuto alle spalle le aveva reciso la vena polmonare. Rimase in vita, finché non le praticarono una toracotomia. Tre volte la rianimarono con un massaggio cardiaco intraoperatorio “col cuore in mano” e tre volte riprese il tono cardiaco… dopo non ce la fece più, perché non c’era più sangue in circolo in quel giovane corpo».
Si chiudeva così il piccolo libro della vita di Santa, una giovane che nel suo diario parla anche della morte: «Quando arriva, la morte non chiede se abbiamo finito di pulire la nostra camera, se abbiamo studiato bene quella lezione, se abbiamo comprato il corredo per i figli: arriva e basta. Dobbiamo imparare a vivere in funzione di Cristo, non perché abbiamo paura della morte, ma perché dobbiamo prendere coscienza che essa non ci appartiene e, se sentiamo che è nostra, è solo perché il Signore ce l’ha data e lo ha fatto perché abbiamo la possibilità di santificarci».
Questo testo di Cinzia Notaro è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it