San Paolo Miki, il martire del Sol Levante

Paolo era nato nel 1556 da una famiglia benestante di Kyoto, la capitale dell’arte e della cultura giapponese. Suo padre, un nobile samurai, si era convertito al Cristianesimo assieme ad alcuni monaci buddisti. All’età di cinque anni riceve il battesimo per poi entrare, giovanetto, nel seminario dei gesuiti e proseguire negli studi di teologia.
Diventa un esperto delle dottrine e delle usanze buddiste. Per questa sua capacità viene destinato dai Superiori alla predicazione locale, in una terra punteggiata da templi buddisti e scintoisti. Convertire i giapponesi non è facile: la fede buddista è ritenuta dagli indigeni una parte vitale della loro cultura; il Cristianesimo è visto come un venir meno a questa eredità etnica e culturale. Eppure Paolo ci riesce, sostenendo utilmente le discussioni con i dotti monaci del luogo, ma senza dimenticare gli altri, i poveri contadini delle campagne, oppressi dai loro padroni e costretti a subire un sistema feudale rigido, ingiusto e violento. Predicazione e promozione sociale, fede e carità. Molti restano colpiti da questa sua autentica testimonianza di vita. E si convertono.
Sul finire del XVI secolo, per motivi religiosi ed economici, scoppia una persecuzione da parte delle autorità locali, chiamati Shogun, ossia capi militari e politici. Nel 1587 Toyotomi, lo Shogun al potere, promulga un editto di espulsione di tutti i predicatori cristiani. Le famiglie giapponesi sono minacciate di morte sul rogo se osano prestare qualche soccorso. Oltre 130 chiese vengono bruciate, le proprietà confiscate. Molti missionari partono: quelli che restano sono costretti a vivere e agire nella semi-clandestinità. Si va avanti così, per alcuni anni, con alterne vicende, fino a quando la persecuzione diventa sistematica e violenta.
Può un nobile giapponese e un fedele soldato di Cristo tradire il proprio Paese e la propria fede, scappando? No. Paolo Miki viene arrestato nel dicembre del 1596 ad Osaka. Trasferito in carcere, vi trova altri missionari e catechisti laici. Nel carcere, diventa subito il punto di riferimento: rafforza la fede dei compagni, li incoraggia, li prepara ad andare incontro al martirio.
Ai prigionieri viene ingiunto di abiurare. Nessuno tradisce la fede cristiana. Al rifiuto, viene tagliato loro il lobo dell’orecchio sinistro. I martiri, mutilati e insanguinati, sono esposti al pubblico ludibrio e disprezzo. I condannati vengono quindi caricati, a tre a tre, su dei carri e trasportati via terra a Nagasaki, in un lungo e tormentoso viaggio di circa un mese.
Durante il viaggio numerose persone si avvicinano ai condannati per confortarli: tra di essi si distinguono due giovani cristiani, i quali seguono il corteo di dolore prestando piccoli servizi ai prigionieri. Le guardie, stanche di vederseli sempre intorno, finiscono per arrestarli e li aggregano agli altri, destinandoli alla stessa pena. Al mattino del 5 febbraio 1597 i soldati conducono i prigionieri su una piccola altura che domina il porto di Nagasaki.
Le croci vengono collocate ad una distanza di tre, quattro passi l’una dall’altra. I martiri avanzano a grandi passi, cantando e inneggiando. Vengono sciolti dai legacci e dalle catene, si salutano e si abbracciano a vicenda. Poi vengono fissati alle croci con cinque anelli: uno alla gola, due ai polsi e due alle tibie. Lo spettacolo, da lontano, è di terribile grandezza. Alcuni pregano in silenzio, altri cantano inni e salmi, altri perdonano ad alta voce l’imperatore e i carnefici. Uno dei ragazzi esorta i genitori a non piangere.
Dalla croce, Paolo Miki rivolge parole di incoraggiamento alle numerose persone presenti, invitandole ad aderire al Cristianesimo; poi esprime apertamente il suo perdono ai carnefici, suscitando intensa commozione fra i connazionali. È la fine di una tragica e meravigliosa storia del passato, ma l’inizio della luminosa storia della fede cristiana nel Sol Levante.
Questo testo di Alessandro Belano è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita radicicristiane.it