San Martino e il povero

Situato nella provincia di Treviso, lungo la via di collegamento con il Veneto orientale, il Comune di Gorgo al Monticano è oggi un piccolo paese a vocazione agricola e industriale, in parte ricostruito dopo le guerre del secolo scorso. Nel Rinascimento, invece, era un rinomato luogo di villeggiatura frequentato dall’alto patriziato veneziano ed anche un importante luogo di commercio del legname, favorito dalla presenza del fiume Livenza. La centralità che questo Comune aveva in quell’epoca spiega quindi come mai attorno al 1500, per dipingere il polittico d’altare della frazione di Navolè, fu addirittura chiamato da Venezia Cima da Conegliano.
Il pittore, infatti, è uno dei tre grandi protagonisti del secondo Quattrocento veneziano e, anche se non riuscì mai a intaccare il primato dei suoi concorrenti, Vittore Carpaccio e Giovanni Bellini, ebbe il merito di essere apprezzato ben oltre i confini del territorio della Repubblica fino ad arrivare con la sua opera nell’entroterra emiliano e parmense. Ne parlò persino il Vasari, travisandolo però come un allievo di Giovanni Bellini, e rimarcando che «se costui [Cima] non fosse morto giovane, si può credere che avrebbe paragonato il suo maestro».
Le origini
Quello che rimane oggi del polittico dedicato a San Martino vescovo, il patrono di Navolè, sono solo tre dei suoi originari scomparti, allestiti ora nel Museo Diocesano di Vittorio Veneto.
Perché è pressoché certo che i due scomparti minori, oggi disposti sui due lati della tavola centrale, fossero entrambi sullo stesso lato, quello alla nostra sinistra. Ne sono un chiaro indizio le posture di San Giovanni Battista e San Pietro apostolo, orientate verso la stessa direzione, e il paesaggio sullo sfondo, pensato per conferire alle diverse parti del polittico un unico contesto spaziale. Tutto questo fa presupporre che la pala d’altare includesse almeno altri due Santi sul lato opposto, ad oggi purtroppo dispersi.
Quasi nulla si conosce dei suoi committenti. Un’antica tradizione locale sostiene che l’opera fu donata da una nobile famiglia veneziana, che frequentava il borgo nei periodi di vacanza. Ma un’altra ipotesi suppone che il polittico sia stato invece commissionato da quei frati Camaldolesi, che un tempo avevano la giurisdizione della chiesa. E che avevano deciso di assoldare un artista, che a quell’epoca si era già distinto per la sua capacità di allacciarsi alla grande tradizione della pittura sacra tardo medievale, aggiornandola con il nuovo sguardo umanistico-rinascimentale.
Tardo-medievale, infatti, è la suddivisione in parti indipendenti dei singoli settori attorno alla pala centrale, incentrata sul Santo protagonista. Ma del tutto innovativo è il contesto in cui i Santi sono collocati: non il consueto fondo oro, bensì un paesaggio armonioso e rasserenante, irradiato da una luce limpida e uniforme, dove in una campagna boschiva scorre quel fiume che era così importante per la vita della comunità locale, e che i Santi in primo piano proteggono e nobilitano con la loro tangibile presenza.
Qualità indiscussa e atemporale
La qualità tecnica di Cima è indiscussa e risalta evidente anche in questa sua opera. La sua stesura lenta e paziente di velature di colore sovrapposte conferisce corpo alle sue figure, come se fossero fatte di materia smaltata a rilievo. Una consistenza materica, che viene attraversata da una luce netta ma ben calibrata, che mantiene lo stesso timbro sia nel primo piano che sullo sfondo. Una luce uniforme, quindi, astratta o meglio metafisica, che conferisce all’azione in corso un carattere atemporale e quindi valido e riproducibile in ogni tempo e in ogni luogo. Anche nel presente. D’altra parte San Martino di Tours, vissuto nel V secolo, assume qui le sembianze di un giovane soldato del 1500.
Esempio di vera carità cristiana
La luce scorre sulle vesti e i volti dei personaggi, suggerendone la diversa varietà materica. Esalta i cangiantismi del verde manto del Battista, la morbidezza della barba di San Pietro e raggiunge il suo massimo virtuosismo nei riflessi dell’armatura di Martino, lucida e dura proprio come lo è il vero metallo o che sembra davvero ricadere, per il suo stesso peso, nella maglia di ferro delle maniche. Ma ai toni freddi dell’insieme fanno da contrappeso il calore dei gesti e degli sguardi e l’intenso rosso del manto, che accompagna la sequenza dell’azione in corso. San Giovanni Battista rivolge i suoi occhi e il gesto della sua mano destra verso lo spettatore, richiamando la sua attenzione verso le figure centrali. Qui il giovane Martino sta tagliando ora parte del suo mantello, dopo aver già avvolto il corpo nudo del povero, che lo accoglie con stupore. Il Santo emblema della misericordia compie un gesto, che è al contempo istintivo e consapevole, il suo volto è sereno e fermo, l’emotività è tenuta sotto controllo. Non c’è nulla di zuccheroso in questa carità cristiana, piuttosto l’esempio di un atto concreto, da mettere in pratica per imitazione subito, hic et nunc, qui e ora, come lo stesso Battista ci invita a fare.
Questo testo di Sara Magister è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it