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San Gregorio Magno: il dottore della Chiesa che trattò con i Longobardi e si occupò di Liturgia

Santi: ritratti di fede01 Settembre 2021
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Con la nuova stagione di Radio Roma Libera, l’appuntamento mensile della rubrica «Santi: ritratti di fede» si avvia prendendo in considerazione san Gregorio Magno, la cui festività ricorre il 3 di settembre, giorno della sua consacrazione episcopale, e il 12 marzo, giorno del suo dies natalis, nel Vetus Ordo Missae.

Si tratta di uno dei più grandi Padri nella Storia della Chiesa, uno dei quattro dottori dell’Occidente.

Apparteneva ad una nobile famiglia, nacque a Roma nel 540 circa e morì nel 604. In giovinezza ebbe una buona preparazione culturale, arricchita in seguito da studi biblici e patristici, da cui attinse un grande apprezzamento per sant’Agostino. L’esperienza politica e amministrativa, che risalta con evidenza dalla sua attività pontificale, attesta anche un’accurata preparazione giuridica. Prefetto di Roma, sentì profonda la vocazione alla vita monastica, e allestì nel palazzo paterno sul Celio un monastero.

L’esperienza da lui dimostrata nelle cariche pubbliche ricoperte e la fama di sicura ortodossia e austerità di vita indussero papa Pelagio II a inviarlo come nunzio apostolico dall’imperatore Tiberio II a Costantinopoli, dove rimase dal 579 al 585-586, procurandosi importanti amicizie ed una vasta esperienza politica. Tornato a Roma, alla morte di Pelagio II fu eletto Pontefice nel 590. Nonostante l’età e le sofferenze fisiche e morali, fu in grado di sviluppare una straordinaria attività, che si può verificare dal Registro delle sue lettere.

Indefettibile e infaticabile al fine di migliorare le condizioni materiali e religiose di Roma, dell’Italia, dell’Europa, in un momento particolarmente difficile per i problemi rappresentati dagli insediamenti barbarici, per le carestie, per il venir meno della organizzazione civile dell’Impero, il Papa assunse, nella diffusa rarefazione della resistenza bizantina, l’iniziativa per un’opera sia di contenimento che di avvicinamento ai Longobardi, giovandosi specialmente dei rapporti amichevoli con la regina Teodolinda e dell’influenza che, per suo tramite, poté esercitare su re Agilulfo.
Giunse così, con grandi capacità diplomatiche, ad un accordo fra Longobardi e Bizantini (598), ottenendo la conversione dei Longobardi ancora ariani. Buoni rapporti conservò anche con i sovrani franchi e visigoti, ottenendo il loro appoggio nel governo di quelle diocesi, lontane e spesso affidate a persone inaffidabili.

Fermissimo nella difesa dell’ortodossia e della dignità della Chiesa romana, si batté per eliminare lo scisma dei Tre capitoli in Istria e per contestare al patriarca di Costantinopoli il titolo di ecumenico, cioè universale, facendo osservare che tale designazione spettava al solo vescovo di Roma; del resto contrappose a questo titolo quello umile di servus servorum Dei, dopo di lui ripetuto da tutti i suoi successori sul trono di san Pietro.
Inoltre, intervenne nella vita delle diocesi, ora per agevolare e consigliare l’elezione di vescovi degni, ora per eliminare abusi e violenze, ora per migliorare e rialzare il valore della vita cristiana: notevole in questo ambito la difesa degli Ebrei, cui assicurò tranquillo esercizio di culto, pur desiderando ardentemente la loro conversione. Fervida poi l’attività missionaria in favore degli Angli, ancora pagani, perciò inviò nella Britannia sant’Agostino di Canterbury, con altri compagni, che egli da Roma seguì con vigile attenzione. Saggio ed acuto amministratore, ebbe doti eccezionali specialmente nel governo del patrimonio della Chiesa di Roma, molto vasto e dislocato nelle diverse regioni d’Europa.

Gregorio Magno fu anche scrittore e liturgista. Oltre che nelle 854 lettere raccolte in quattordici, permeate di forza morale e di fede fervida, l’alto valore di Gregorio I come scrittore si manifesta nella Expositio in beatum Iob, composto da XXXV libri, ampio commento al libro di Giobbe, in cui il testo biblico è punto di partenza per le più svariate riflessioni e meditazioni morali e religiose, miniera da cui attinsero tutti gli scrittori, pensatori e teologi del Medioevo. Ricordiamo, ancora, la sua Regula pastoralis, scritta al tempo dell’elezione pontificale in cui l’autore traccia l’ideale del perfetto sacerdote, che ebbe la più profonda eco nella coscienza medievale.

Emanazione diretta del ministero sacerdotale di Gregorio I sono le quaranta Homiliae in Evangelia, risalenti al 590-591. Tutte dette al popolo, durante un assedio dei Longobardi a Roma nel 593-594, sono le ventidue Homiliae in Ezechielem, piene d’orrore per il presente, ma allo stesso tempo, colme di virile coraggio per affrontarlo. Di tono popolare sono, invece, i quattro Libri Dialogorum de vita et miraculis patruum Italicorum et de aeternitate animarum, destinati all’edificazione dei fedeli, questi dialoghi hanno avuto la più vasta fama anche perché tutto il secondo libro costituisce la prima biografia di san Benedetto da Norcia.

Gregorio Magno ebbe grande influenza sia nella successione delle preghiere della Santa Messa, a lui risale infatti un Sacramentarium, almeno nella sua parte più antica, sia nel canto ecclesiastico, per cui predispose un Antiphonarium e dettò le norme fondamentali del canto che da lui trasse poi il nome di «canto gregoriano». Venerato subito come santo, il suo nome compare nei Martirologi fin dal VII secolo.

Fra i miracoli a lui attribuiti, la cessazione della peste a Roma mediante una processione, che egli guidò, di un’icona, che la tarda tradizione identifica con quella dell’Aracoeli.

Suo frequente attributo iconografico è la colomba che gli bisbiglia in un orecchio: secondo la tradizione, venne sorpreso dal suo scrivano a dettargli le parole ispirate dallo Spirito Santo; mentre, sul finire del XIV secolo, venne rappresentato nella «Messa di san Gregorio», in cui il Cristo con i segni della Passione appare al Sommo Pontefice celebrante.

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