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San Giuseppe Tomasi di Lampedusa, figlio della Sicilia della Controriforma

Storia15 Febbraio 2019
Testo dell'audio

Giuseppe Maria Tomasi, beatificato da Pio VII nel 1803 e canonizzato nel 1986 da Giovanni Paolo II, fu un grande studioso di liturgia e un uomo di profonda pietà. Nacque a Licata, in provincia di Agrigento, il 12 settembre del 1649; figlio primogenito di Giulio, duca di Palma e principe di Lampedusa, e di Donna Rosa Traina.

La famiglia era sinceramente religiosa e la formazione del piccolo Giuseppe fu improntata ai principi del cattolicesimo. Il suo destino era quello di diventare paggio alla corte del Re di Spagna, e proprio per questo ricevette un’educazione assai raffinata, di stampo umanistico, che privilegiò lo studio dello spagnolo e di altre lingue moderne.

Vocazione religiosa e rinuncia al mondo

Ben presto però si manifestò in lui una chiara vocazione alla vita religiosa: ottenuto dal padre il permesso di entrare nell’ordine dei Teatini, Giuseppe poté rispondere appieno alla chiamata del Signore. Il 25 marzo del 1666, a Palermo, nella chiesa di San Giuseppe, vestì l’abito, non senza aver prima rinunciato a favore del fratello Ferdinando ai propri diritti patrimoniali e feudali.

Il giovane chierico si dedicò con impegno e profitto agli studi sacri, in particolare a quelli di teologia, e approfondì pure le lingue orientali, diventando un vero e proprio erudito. Nel 1673 venne ordinato sacerdote e si stabilì nella casa generalizia dell’Ordine a San Silvestro di Monte Cavallo, a Roma. Qui visse per molti anni, secondo uno stile caratterizzato da grande umiltà e semplicità.

A tale proposito, nella dettagliatissima vita del santo, narrata da Domenico Bernino e stampata a Roma nell’anno 1722, si legge:

«Chi con sì rara humiltà poté domar, e distaccar se stesso dalla forte interna cupidigia degli honori, che tanto domina dentro noi, non poté certamente non distaccarsi in sommo grado dal Mondo, le cui vanità, e allettamenti sono estrinseci, e fuori di noi: ed essendo Massima ricevuta, che Chi più si accosta a Dio, più si discosta da ciò, che non è Dio, vediamo, quanto grande fosse l’alienazione del Tomasi dal Mondo, che de’ tre inimici dell’Huomo, il primo si è, che militi incessantemente contro Dio. Il Tomasi fu sì alieno dal Mondo, che anche in età puerile parve fuori del mondo, anzi nato fuor del Mondo: tanto habbiamo ammirato in lui quel non godere, anzi quel non curare le carezze proprie de’ Fanciulli, quel fuggir li divertimenti leciti della gioventù, e quel dispregiar con alta noncuranza il fasto ambito del Secolo».

E più avanti si legge che una volta, quando era già sacerdote, le sorelle lo pregarono di fare ritorno per breve tempo a casa, per poter stare un po’ con lui; Giuseppe rispose loro di non volere «con tal viaggio raccoglier novità, che sempre inducono fantasmi in pregiudizio dell’interna quiete»; e aggiunse: «Fate conto, che io già mi sia partito da Roma, sia stato in Palma, e poi di nuovo habbia fatto ritorno in Roma, ove mi trovo; adesso sarebbe tutto passato. Così sono tutte le cose del mondo, tutte vanità, e passaggio».

Uomo di carità e di studio

Il Tomasi si dedicò costantemente alle opere di carità. La sua attenzione nei confronti dei malati e dei bisognosi fu esemplare. Nella sua biografia scritta dal Bernino si legge che un giorno, avendo un suo compagno rimproverato un povero che chiedeva l’elemosina a Giuseppe distogliendolo dalle sue meditazioni, questi lo redarguì aspramente, dicendo che mentre loro due erano sazi, quel poveretto forse non aveva neppure potuto procurarsi un tozzo di pane per sfamarsi, e pertanto non andava scacciato ma accolto, perché niente era in quel momento più importante del suo bisogno.
Il Tomasi si dedicò pure con grande zelo allo studio. Entrò a far parte del circolo degli eruditi e fu ammesso alla biblioteca della Regina Cristina di Svezia, dove, studiando i codici che essa custodiva, pubblicò la sua opera maggiore, intitolata Codices Sacramentorum nongentis annis vetustiores, dedicata alla stessa regina e pubblicata a Roma nel 1680.

Fu autore e curatore di molte altri scritti, tra cui un’importante edizione critica della Bibbia.

Si occupò pure, nel 1690, della redazione delle “Costituzioni” delle benedettine del monastero della Vergine Maria del Rosario di Palma, nella diocesi di Agrigento, una congregazione religiosa nata per volontà della sua stessa famiglia: tra le prime dieci monache che vi entrarono a far parte, si annoverano ben tre sue sorelle; la zia ne divenne badessa e più tardi vi fece il suo ingresso anche la madre.

Principe della Chiesa ma parroco nel suo cuore

Il 18 maggio del 1712 il Papa Clemente XI lo nominò cardinale. Dopo pochi mesi Giuseppe Maria si ammalò e morì a Roma: era il 1° gennaio del 1713.

In occasione della sua canonizzazione il pontefice Giovanni Paolo II, durante l’omelia, pronunciò, tra l’altro, le seguenti parole:

«La promozione della vita liturgica – alla quale egli si applicò in modo speciale – va così dalla pubblicazione della ricerca o della scoperta erudita, all’opera che egli svolse per l’educazione liturgica del popolo e dei semplici fedeli. Il suo spirito di servizio e l’ardente amore per le anime, coltivati dallo studio e dall’esercizio dell’osservanza coscienziosa della Regola del suo Ordine, lo rendono disponibile sia all’assistenza dei poveri e dei malati, come allo svolgimento di incarichi presso la Curia Romana, fino a ricevere, da Papa Clemente XI, la porpora cardinalizia, che egli invano, per umiltà, tentò di ricusare. Dopo aver compiuto i doveri liturgici inerenti all’ufficio cardinalizio, egli, come poteva fare un parroco, si metteva a spiegare i rudimenti della fede e il catechismo ai ragazzi e agli altri fedeli, offrendo premi a coloro che progredivano nella dottrina cristiana».

 

Questo testo di Maurizio Schoepflin è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. È possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it

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