Saint-Denis, il cuore della Francia

«Mi è parso giusto che quanto di più magnifico esiste debba servire in primo luogo alla celebrazione della Santa Eucaristia. Per ricevere il Sangue di Cristo, conviene disporre di vasi d’oro, di gemme, di tutto ciò che nella creazione si considera prezioso: si deve servire, più che in qualunque altra cosa nel Santo Sacrificio, in assoluta purezza interiore, in assoluta nobiltà esteriore»: così redarguisce Sugerio, abate di Saint-Denis, nel trattato De Consecratione. Lui, questo precetto, nel monastero benedettino che governava, lo avrebbe applicato alla lettera.
Qui morì il Patrono
Fondata nel VI secolo dai Sovrani merovingi, l’abbazia di Saint-Denis, edificata su impulso di santa Genoveffa, divenne nei secoli un luogo cardine attorno al quale prese le mosse la storia di Francia.
Un legame forte unisce infatti il complesso conventuale alle vicende della capitale e dei suoi monarchi, evidenziandone le profonde, seppur talvolta rinnegate nel corso dei secoli, radici cristiane: l’abbazia fu dedicata al vescovo san Dionigi, martire patrono di Parigi, il quale, decapitato dai Romani, raccolse la propria testa e si incamminò fino al luogo dove voleva essere sepolto e su cui sarebbe poi sorta la chiesa; tra le sue mura furono inumate le spoglie di numerosi sovrani a partire da Dagoberto I, così da proteggerne corpo ed anima; all’ombra delle sue cappelle era custodito il tesoro reale, i regalia, e nel Medioevo rappresentò un fervido centro di potere e di cultura, fucina di pensiero filosofico e scriptorium di compilazione degli Annales, allorché la carica di abate crebbe di prestigio e divenne ambitissima, tanto che persino diversi re, tra cui Carlo II e Luigi XIV, vollero per sé il titolo in commendam; così fece anche Ugo Capeto, che derivò il proprio soprannome dalla cappa di abate laico e lo consegnò in eredità alla sua dinastia, quella dei Capetingi.
Grande prestigio e profonda fede
Sotto il regno dei Carolingi, i Padri Superiori furono promossi arcicappellani dell’Imperatore e vennero impiegati nelle missioni diplomatiche presso il Pontefice; Saint-Denis si arricchì dunque di beni e privilegi. Pipino il Breve la fece restaurare interamente, dopo esservi stato consacrato.
A seguito delle rovinose razzie normanne fu appunto con Sugerio, abate dal 1122 al 1151, che il monastero e la sua chiesa, oggi cattedrale, riacquisirono lo splendore originario ed assunsero la forma che ancora riconosciamo: egli infatti, convinto della necessità di glorificare il Signore attraverso la bellezza e l’armonia dei luoghi e delle forme, poiché «nella gioia che si prova davanti alla bellezza della casa di Dio, una degna disposizione di spirito conduce ad innalzarsi verso le cose di Lassù», promosse la ricostruzione dell’imponente edificio nello stile gotico che si stava allora imponendo.
Ridisegnò la facciata sul modello delle cattedrali normanne, facendone uno dei primi esempi di Westwerke, con i tipici tre portali, riccamente decorati con sculture e immagini del Giudizio universale, sormontati da un rosone, simbolo del dominio perfetto di Cristo, e coronati da due torri, una delle quali venne abbattuta nel 1847, lasciando una netta asimmetria.
I lavori proseguirono con i rifacimenti dell’abside e del coro, per mettere in risalto le reliquie di san Dionigi, custodite nell’altare maggiore, consacrato da Stefano II nel 754.
Lo stesso Sugerio, esteta della liturgia, ne fu l’architetto: lungo il presbiterio costruì sette cappelle radiali comunicanti, dotate ciascuna di due vetrate, che inondano di luce gli interni e le cui coloratissime immagini intersecano figure di sovrani, pontefici, aristocratici, vescovi locali e santi patroni, un connubio tra Dottrina, arte e ideali politici, che ben esemplifica il sottile pensiero dell’abate, secondo cui «la regalità terrestre non esiste che per mezzo della Chiesa e la Chiesa di Dio progredisce grazie alla regalità terrestre».
L’Orifiamma
Tra il 1231 ed il 1281, su impulso di san Luigi IX e dell’abate Oddone, la cattedrale venne ulteriormente rimodernata: la vetusta navata carolingia fu innalzata fino a raggiungere i trenta metri di altezza, mentre il sepolcreto ed i transetti furono allargati ed uniti alla precedente costruzione attraverso un astuto gioco prospettico.
Saint-Denis aveva definitivamente sancito un’unione profonda con la monarchia, sia ideale che reale: qui era custodita l’orifiamma, lo stendardo vermiglio decorato con stelle e fiamme dorate, originariamente insegna dell’abbazia e scelta come vessillo di guerra dai re cristianissimi; qui erano consacrate le regine consorti con l’Olio Santo e da qui partì l’espansione territoriale della Corona francese, che dall’Île-de-France conquistò i tanti feudi in cui era frammentato il Paese, raggiungendo l’unità nazionale, ed operò la conseguente diffusione nei territori sottomessi dell’architettura di Saint-Denis, divenuta modello del gotico d’Oltralpe.
Fra queste mura cariche di storia, nel 1429 santa Giovanna d’Arco donò come ex-voto l’armatura sottratta ad un nemico inglese sul campo e nel 1593 Enrico IV vi abiurò il protestantesimo, divenendo il primo Borbone a sedere sul trono gigliato. Suo nipote Luigi XIV sostituì nel 1691 il titolo di abate con quello di Gran priore ed alla fine del Settecento parte del complesso abbaziale fu nuovamente ridisegnato in stile classico, pur rispettando l’impianto medievale.
L’omaggiò persino Napoleone
Nel 1793, la furia rivoluzionaria profanò empiamente le tombe dei sovrani, gettando i resti mortali in una fossa comune e distruggendo parte dei monumenti funerari. Grazie alla sua volontà di presentarsi come ideale continuatore degli antichi monarchi, Napoleone ridonò all’abbazia il suo splendore, la dotò di una nuova sacrestia e procedette al restauro della cripta, proseguito durante la Restaurazione sotto l’archeologo Alexandre Lenoir e l’architetto Eugène Viollet-le-Duc.
Pietra miliare dell’architettura gotica, austero luogo di raccoglimento e monumento alla luce, Saint-Denis continua a far trasparire il legame indissolubile fra la Fede e i Sovrani, offrendoci un tesoro di pezzi unici e dimostrando come la vera regalità possa venire soltanto dall’unico Re.
Questo testo di Lorenzo Benedetti è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. E’ possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it