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Quelle voci dall’Est che parlano anche a noi

La trave e la pagliuzza18 Aprile 2020
Testo dell'audio

Se qui da noi, in Occidente, il blocco delle cerimonie religiose a causa del coronavirus ha provocato sofferenza in molti cattolici, all’Est ha anche riportato alla memoria i tempi delle persecuzioni anticattoliche, quando le chiese e le altre strutture religiose erano vuote perché i regimi comunisti, per motivi ideologici, impedivano il culto pubblico.

“La visione terrificante delle chiese vuote mostra ciò che sarebbe potuto succedere se l’ostilità anticattolica avesse prevalso”, ha detto una conduttrice radiofonica polacca manifestando il pensiero di numerosi suoi connazionali di una certa età, in grado di ricordare che cosa fu la persecuzione antireligiosa.

Anche nell’Europa dell’Est è successo, come da noi, che le forze dell’ordine siano intervenute per disperdere fedeli che, nonostante i divieti, si erano recati in chiesa per la Messa, e queste immagini hanno a loro volta riproposto ricordi alquanto spiacevoli, tanto più che alcuni sacerdoti sono stati multati per non aver rispettato le regole.

In Romania il vescovo greco-cattolico Virgil Bercea, sessantadue anni, che per alcuni anni, prima della rivoluzione del 1989, fu sacerdote clandestino nella Romania comunista, ha dichiarato che il divieto di celebrare le Messe a causa della pandemia ha ovviamente provocato molte domande e suscitato dolorosi ricordi. “Prima della liberazione – ha sottolineato – le nostre case avevano preso il posto delle chiese. E ora che tutto è di nuovo chiuso ci troviamo in una situazione angosciante”.

In Ucraina, dove sono ancora consentite le funzioni religiose con un massimo di dieci fedeli, il Consiglio ucraino delle chiese e delle organizzazioni religiose, che comprende anche leader cattolici, il 9 aprile ha denunciato violazioni delle regole da parte della polizia, che in alcuni casi, interpretando le norme in modo restrittivo, ha preteso di chiudere completamente le chiese, e anche questi fatti hanno contribuito a riproporre situazioni che si sperava fossero consegnate al passato.

In Russia il segretario generale della conferenza episcopale, monsignor Igor Kovalevsky, ha detto che in molti cattolici le norme per il contenimento della pandemia hanno suscitato “paure e associazioni di idee negative” e non è mancato chi ha contestato le regole.

Chi ha vissuto sotto il comunismo ricorda bene come andavano le cose quando si poteva pregare solo in casa, senza far rumore, perché c’era sempre il rischio di poter essere denunciati.

All’epoca un grande aiuto venne dalla consapevolezza che c’erano pastori non disposti ad arrendersi, e le parole di quei grandi testimoni della fede possono dire qualcosa anche a noi oggi.

È il caso del cardinale Stefan Wyszyński, il primate polacco che nel gennaio del 1953 sfidò il regime comunista, reagendo con una celebre lettera al diktat che revocava alla Chiesa la libertà di culto, e pagando la sua presa di posizione con il carcere.

Nei suoi Appunti dalla prigione si legge: “Il peccato più grande per un apostolo è la paura; la paura di un apostolo è la prima alleata dei suoi nemici. La mancanza di coraggio è l’inizio della sconfitta per un vescovo”.

Nella lettera, firmata da tutto l’episcopato e inviata al governo, a proposito del divieto di culto era scritto: “Affermiamo che il suddetto decreto non può essere da noi riconosciuto come legittimo e vigente, giacché contrario alla Costituzione e alle leggi di Dio e della Chiesa […]. Se dovessimo trovarci di fronte all’alternativa di sottomettere la giurisdizione ecclesiastica come uno strumento di governo civile oppure accettare un sacrificio personale, non vacilleremo […]. Non possiamo sacrificare le cose di Dio sull’altare di Cesare! Non possumus!”.

Il 25 settembre del 1953 il cardinale fu arrestato dalle autorità comuniste e portato in carcere. Uscendo dal palazzo episcopale, disse a una suora che voleva preparargli un bagaglio: “Sorella, non porterò nulla. Sono entrato povero in questa casa e povero vi uscirò”. Sarebbe rimasto in carcere per tre anni.

Insieme a ricordi inquietanti, l’attuale situazione ci consente di riscoprire figure che possono insegnare davvero molto.

È il caso anche dell’eroico cardinale Ján Chryzostom Korec, vescovo di Nitra, in Slovacchia, autore del libro La notte dei barbari.

Ebbi la possibilità di conoscere il cardinale Korec e ricordo bene la passione con cui rievocava gli anni della Chiesa clandestina, costretta alle catacombe. Mi fece vedere alcune copie del samizdat che produceva in clandestinità e rievocò il periodo di isolamento in carcere, quando ripeteva ad alta voce interi brani di opere filosofiche e teologiche per non perderne la memoria.

Sì, possiamo proprio dire che dall’Est ci arrivano testimonianze che possono esserci di grande aiuto per superare, con fede e dignità, questa fase difficile.

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