Quei 33 gradini…

Nel settembre 1852, mentre imperversavano le rivalità fra Stati Uniti e Messico, dovute a questioni territoriali, mons. Jean Baptiste Lamy, vicario apostolico di Santa Fe (in seguito divenuta diocesi, quindi arcidiocesi), diede un preciso incarico a un gruppo di suore, appartenenti all’Istituto della Beata Vergine Maria: voleva che lo aiutassero a rendere gli abitanti del posto maggiormente saldi al Credo cattolico. Le religiose, per questo, maturarono l’intenzione di erigere una cappella e di fondare una scuola, presso la quale educare i giovani nella fede: strutture che sarebbero poi state dedicate a Nostra Signora della Luce.
Si installarono nella zona Sud-Ovest degli Stati Uniti d’America, compresa tra il Kentucky, il Missouri ed il Kansas. Il viaggio non fu né breve, né indolore: al di là delle fatiche, delle temperature molto alte e di vari problemi tecnici circa i mezzi di trasporto, tre delle consorelle si ammalarono di colera. Una di loro, madre Matilda, la superiora, ne morì; le altre due guarirono. Giunte a Santa Fé, nel Nuovo Messico, le quattro suore superstiti si fermarono.
A quel punto la nuova Superiora, madre Madeleine, suor Catherine, suor Hilaire e suor Robert trovarono rifugio temporaneo in una casetta, ma la loro prima preoccupazione fu quella di dotarsi di un convento e di una cappella. Ben presto, grazie all’opera di alcuni carpentieri messicani, venne eretta una scuola femminile, il Collegio di Lorette o Loretto Academy. La costruzione della cappella, intitolata a Nostra Signora della Luce, in stile gotico, ebbe inizio il 25 luglio 1873 su progetto dell’architetto Antonio Mouly, lo stesso che aveva firmato la locale cattedrale. L’edificio, posto sotto il patronato di san Giuseppe, alla fine misurava 8 metri di larghezza, 23 di lunghezza e 26 di altezza.
Un’opera notevole, ma con un errore, di cui ci si rese conto solo a cose fatte: mancava totalmente un qualsivoglia collegamento tra la tribuna ed il coro. Problema non da poco, essendo ormai esiguo lo spazio rimasto a disposizione per realizzarlo ed essendo oltre tutto morto, nel frattempo, il progettista. Molti esperti, contattati dalla Madre Superiora, rinunciarono all’incarico di completare l’opera, giudicando ciò impossibile. L’unica ipotesi praticabile sembrava essere quella di eliminare totalmente il secondo piano, dove si trovava il coro. Le suore decisero, allora, di fare una novena a san Giuseppe, chiedendogli una soluzione.
L’ultimo giorno della novena si presentò loro un uomo anziano con un asino e pochi attrezzi. Lui si propose di realizzare la scala mancante: evidentemente esperto in falegnameria, la completò in sei soli mesi, lavorando da solo ed utilizzando semplicemente una sega, un martello ed una squadra a T. Un’opera decisamente particolare, composta da due spirali complete, su sé stesse, in grado di reggersi anche senza un pilastro centrale. È cioè sospesa, senza alcun supporto. Tutto il peso pare gravare sul primo gradino. Il primo, oltre tutto, di 33 gradini…
Quando le religiose cercarono l’autore, per riconoscergli il giusto compenso, l’uomo era sparito, senza lasciare tracce e senza nulla chiedere. Vani i tanti tentativi posti in essere per ritrovarlo o per avere qualsivoglia informazione sul suo conto: nessuno lo conosceva ed, alla vicina segheria, nessun documento certificava l’acquisto di legname per la cappella. Anche perché il legname utilizzato certamente non proveniva dalla regione. Donde giungesse, era un mistero.
Di certo san Giuseppe, pregato con devozione dalle suore durante la novena per la scala, ha risposto alle orazioni, svolgendo un importante ruolo di potente intercessore. Per taluni fu proprio lui l’esperto falegname, autore della sconcertante scala, ancora oggi meta di numerosi pellegrinaggi. In merito, tuttavia, le cronache della comunità di religiose tacciono, si limitano a precisare come la cappella sia stata dedicata proprio a san Giuseppe il 25 aprile 1878.
Questo testo di Luigi Bertoldi è tratto da Radici Cristiane. Visita radicicristiane.it