Quando Benedetto parlò con Dio

San Benedetto da Norcia, membro della nobile gens Anicia della città di Nursia era giunto a Roma all’età di circa vent’anni per studiare grammatica e gli studi letterari, come era usanza per i nobili del tempo.
Ma Roma, capitale di un Impero ormai defunto non sarebbe stata capace di attrarre neanche all’apice del proprio splendore l’ardore e l’inquietudine spirituale del giovane padre del monachesimo. Vi era in lui, come afferma san Gregorio, quell’ansia mistica che gli ardeva nel cuore di «piacere soltanto a Gesù Cristo», così da glorificare Lui in ogni cosa.
Fin da giovane infatti sembrava obbedire già a quel comando, che divenne in seguito il principio ispiratore della sua Regola di vita monastica. Quel richiamo che lo portò ad abbandonare la città e con essa ogni cosa: la cultura ed i piaceri del mondo, la ricchezza e l’affetto della famiglia. Era in cerca di un rifugio per lo spirito, di un silenzio per la mente, di una pace per il cuore.
Dinanzi ad una esigenza così alta e profonda volle far ritorno alla nuda terra dalla quale l’uomo nasce ed alla montagna dove Dio parla. Si incamminò solitario così verso la valle solcata dal fiume Aniene e protetta dai monti Simbruini, dove incontrò il monaco Romano che gli indicò uno speco incastonato sulle ripide pareti del monte Taleo.
In quel Sacro Speco dove il santo visse per tre anni da eremita e sul quale si innalzarono tra l’XI e il XIII secolo due splendide chiese tra loro sovrapposte, si propagarono in azione e parola tutte le grazie spirituali e le virtù sociali di una fede completamente e radicalmente vissuta in Cristo i cui benefici attraverso il monachesimo si perpetueranno in Europa per secoli.
Quando il santo abbandonò la grotta al passaggio di un sacerdote, i frutti spirituali di quegli anni di silenzio vissuti nel Sacro Speco, vera culla della civiltà europea, cominciarono ad irradiarsi. Inizialmente ai pastori, poi ai fedeli delle chiese vicine e lontane con i primi giovani seguaci, i santi Mauro e Placido. Da qui la necessità di fondare nuove comunità cenobitiche con i relativi monasteri. Nel 529, abbandonando Subiaco, Benedetto trovò rifugio a Montecassino.
Qui completò infatti la sua Regola monastica, ma soprattutto edificò su quella terra, ancora luogo di culto pagano, il monastero madre del futuro Ordine benedettino e della stessa Europa; un paradigma sociale perfetto di santità evangelica. Con l’equilibrio e l’armonia tipicamente romana, con la misericordia e la solidarietà tipicamente cristiana prese forma così un modello morale di vita comunitaria, che è al tempo stesso un esempio economico, politico e culturale per la civiltà umana.
Il monastero di Montecassino fu il cuore pulsante, ove sorse la societas christiana, ma la cui anima risiedette in quella piccola grotta a Subiaco e in quei tre anni di silenzio nei quali san Benedetto parlò con Dio.
Questo testo di Emanuele Rossi è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it