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Pret dabón

Tesori d'Italia06 Dicembre 2021
Testo dell'audio

I “parmigiani del sasso” (che vuol dire quelli orgogliosamente titolari di radici della parmigianità) sono e si confermano oltranzisti nei convincimenti, giusti o sbagliati che siano, rendendoli esclamativi con veemenza verdiana. In politica, rivendicano l’epopea delle barricate di popolo, erette contro il dilagare del fascismo nella pianura padana. Tutti gl’insorti di quell’opposizione ad armi pronte contro le Camicie nere di Italo Balbo, quadrumviro mussoliniano, erano di matrice rossa: socialisti, comunisti, anarchici. Alle barricate, si diceva, con mai sopito vanto ironizzante, che a erigerle, insieme ai rossi, s’erano visti anche i cattolici dichiarati. Era una boutade, fondata sul fatto che, per affastellare le barricate, si erano usati anche i banchi devozionali, rimossi a man salva da qualche chiesa circostante.

Le chiese, anche storiche, erano ritenute fortilizi all’acqua santa dei preti, che la sapevano “contare”. Quasi tutti i reverendi suscitavano da principio perplessità, ma in taluni casi fondamentalmente avversione e sprezzo. Talmente radicato il convincimento, che qualche rara eccezione veniva considerata con ammirato stupore. E l’annuncio evangelico non era del tutto scolorito. Questo il sentire di quegli anni, quando peraltro il riconoscimento di popolo non era negato al portamento ecclesiale di reverendi sul serio, amichevolmente citati per nome. Quel modo d’interpretare la Chiesa docente è rimasto. Anche oggi, dopo tanti anni dal passionale scetticismo che classificava la Chiesa “mestierante”, il sospetto persiste.

I preti, che con la talare a venivano considerati “cornacchioni“, adesso o si rivelano sant’uomini di fatto o vengono tassativamente riguardati come estranei a un sentire comune. Che però sa enucleare dal contesto delle dubbie talari i “pret dabón”, i preti davvero: così diversi, per molti, da chi – a belle parole invece che con fatti esaltanti – tira il carretto di una dubitosa vocazione. Si pensa, con esigenze mai venute meno, che una chiamata apostolica debba confermarsi indiscutibile e venir considerata leggendaria.

Viene sempre tenuta alta e narrata alle generazioni successive l’indelebile testimonianza di un frate minore, tutt’altro che parmigiano, dalmata, e in convento alla SS. Annunziata. Si chiamava padre Lino Maupas (1866-1924). Con le sue gesta e inventive d’amore, sempre senza didascalia, ammaliò e sèguita ad ammaliare dopo cent’anni una diocesi. Cioè un impianto ecclesiale con al largo i renitenti. Tanti, ma sempre ansiosi, tuttavia, di riscontri dell’attiva e perfino spericolata prossimità impersonata da chi si chiami don, monsignore, canonico o episcopo.

 

Questo testo di Giorgio Torelli è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it

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