Preparazione liturgica all’annuncio del Vangelo

È una funzione eccelsa e sublime quella di annunciare (praedicare, praeconare, περιϰοπή) le parole della Vita Eterna durante la celebrazione del Santo Sacrificio. Perciò la lettura solenne del Vangelo nella celebrazione liturgica pertiene esclusivamente al diacono, ovvero al sacerdote; ambedue però devono prepararsi espressamente per esserne degni e, per così dire, imprestare il cuore e la bocca al Signore nell’annunciare la Sua celeste ed eterna Verità. “Benedetto sia il Signore in eterno che non disdegna di servirsi di un mezzo tanto insignificante per una cosa tanto eccelsa e – pur essendo Dio – parlare agli uomini tramite una lingua di carne, ed innalzare l’uomo ad essere l’organo della Voce celeste e l’araldo dello Spirito Santo” (S. Giovanni di Avila).
La doverosa preparazione all’annuncio della Parola divina consiste nella “perfetta purificazione e santificazione del cuore e della bocca”. Sì, l’anima non solo dev’essere libera da peccato, da ogni bassa sostanza terrena e di egoismo, ma anche santificata dall’alto, tramite la benedizione della Grazia. A questo scopo vengono pronunciate due preghiere: la prima per la “purificazione”, l’altra per “ottenere la benedizione”. Il sacerdote sta al centro dell’altare, alza gli occhi in avanti, verso l’alto, quasi mirando “i monti, da dove gli giunge l’aiuto”, per poi abbassarli di nuovo. Col corpo profondamente inchinato, le mani giunte, senza appoggiarle sull’altare, egli prega e dice:
Mondami il cuore e le labbra, o Dio onnipotente, che mondasti con carbone ardente le labbra del profeta Isaia; con la tua benigna misericordia degnati di mondarmi in modo che io possa annunziare degnamente il Tuo santo Vangelo. Per il Cristo nostro Signore. Cosí sia. Degnati, o Signore, di benedirmi! Il Signore sia nel mio cuore e sulle mie labbra, affinché io possa annunciare il Suo Vangelo in modo degno e conveniente. Così sia.
Dapprima s’inizia con la supplica per la “purificazione interiore” (Munda cor meum). Un pensiero questo che spesso si ripete presso i Padri della Chiesa, e cioè che l’anima deve assumere in sé la parola e la verità di Dio con la medesima purezza con cui riceve l’Eucaristia. L’immagine del sole si rispecchia solamente in una sorgente limpida; così anche la luce della verità celeste risplende piena e inalterata solamente in un cuore tutto puro.
La sapienza non entra in un’anima impura, e non dimora in un corpo sottomesso al peccato (Sap. 1,4). Ma com’è difficile camminare sul sentiero polveroso di questa terrena esistenza rimanendo senza macchia! Il cuore non viene reso impuro solamente dal peccato: la sua purezza viene appannata dalla passione, dalla distrazione, inclinazioni terrene e attaccamento a cose mondane. Da qui, l’umile implorazione del sacerdote, che il Signore voglia “rendere il suo cuore nuovamente puro”: solo un cuore immacolato è un vaso degno della verità e della sapienza divina.
La purezza interiore dell’uomo è la prima e più importante cosa; ma essa non è ancora sufficiente: anche le labbra che pronunciano parole tanto sacre, “devono essere pure” (Munda labia mea). Le labbra del sacerdote devono conservare la scienza, e dalla sua bocca si attinga la legge, poiché egli è un angelo del Signore degli eserciti (Mal. 2,7). La bocca del sacerdote è consacrata per i misteri celesti: perciò nessuna cosa profana deve uscire da essa. Sgorga forse dalla medesima fonte acqua dolce e amara? (Giac. 3,11).
Ma con quanta facilità e frivolezza pecca la lingua ciarliera, se non si cerca di tenerla sotto controllo con la dovuta energia! L’esercito dei peccati di lingua è incalcolabile. Proprio per questo il sacerdote sente la necessità di quanto sia necessario che le sue labbra vengano di nuovo purificate da tutte le macchie di discorsi vani, mondani e peccaminosi. Prima di accingersi ad annunciare la parola di Dio, il sacerdote prega dunque per la perfetta purificazione interiore ed esteriore.
Questa preghiera viene motivata e sviluppata tramite un significativo ricorso ad un misterioso avvenimento nella vita del profeta Isaia (6,5-11). Lui stesso racconta della sua vocazione, consacrazione e dell’invio ad esercitare il suo ufficio di profeta. In una meravigliosa apparizione vide la gloria del Signore degli Eserciti e udì il canto di lode degli angeli: scosso da un sacro timore, riconobbe e confessò la propria peccaminosità, la propria indegnità.
In quel momento un Serafino prese una “pietra infuocata” dall’altare celeste dell’incenso con cui toccò le labbra del profeta e bruciò ogni impurità, con le parole: “Ecco, questo ti ha toccato le labbra, la tua iniquità è tolta e il tuo peccato è espiato”. In quel momento Isaia dice: “Eccomi, manda me!” La “pietra infuocata” nella visone profetica è il simbolo della Grazia e della sua efficacia.
Questo è un fuoco spirituale che consuma tutte le scorie mondane dall’anima, cosicché essa divenga più lucente e radiosa dell’oro e dell’argento più raffinati. Il fuoco di grazie dello Spirito Santo purifica non solamente il cuore, ma anche lo illumina con una più alta sapienza e lo infiamma di amore celeste.
“Benedici, o Signore”. La benedizione implorata ha due dimensioni: voglia il Signore essere nel “cuore” purificato del sacerdote, come anche nelle sue “labbra” purificate. Se il Signore è “nel suo cuore”, allora il sacerdote annunzierà la Buona Novella in maniera “degna”, cioè con un più costante raccoglimento e attenzione, con una santa gioia ed entusiasmo, con profonda umiltà e timore reverenziale.
Se il Signore è “nelle sue labbra”, allora egli annuncerà il Vangelo in maniera “adeguata”, cioè come si deve: con chiarezza e precisione, con forza ed enfasi, cosicché tutti siano edificati. Così preparato, il sacerdote è un canale pulito che può ricevere l’acqua salvifica del Vangelo, dalla fonte dello Spirito Santo e farla giungere non adulterata ai cuori dei fedeli.