Pellegrini come nel Medioevo

Ogni anno, intorno all’8 maggio, giorno in cui si celebra l’apparizione di san Michele Arcangelo sul Gargano, il Club Alpino Italiano (tramite la sua sezione scientifica, il Gruppo Terre Alte) organizza un pellegrinaggio a Monte Sant’Angelo lungo la Via Sacra Langobardorum, detta anche Via Micaelica o Francigena del Sud. La caratteristica di questo pellegrinaggio è quella di essere fatto interamente a piedi, cercando di vivere lo stesso spirito — se non di ripercorrere le stesse strade — dei pellegrini medievali.
Quest’anno i nove giorni di cammino sono partiti dalla Basilica beneventana di San Bartolomeo, dove si possono venerare le spoglie dell’Apostolo, per giungere sul Gargano attraverso un tragitto che ha toccato i luoghi di san Pio da Pietralcina e alcune città storiche (Troia, Lacera e San Severo, caratterizzate dalla notevole architettura religiosa). L’anno prossimo — che segnerà il 150° dalla fondazione del CAI — il percorso verrà effettuato a ritroso e partirà l’8 maggio da Monte Sant’Angelo per raggiungere, attraverso la via Francigena, la capitale della Cristianità.
C’è chi ama il camminare in sé e per sé, ma desidera farlo verso una meta religiosamente e storicamente importante; c’è chi sostiene che il mettersi in cammino è già aver raggiunto la meta, per cui anche senza arrivare fino in fondo si adempie al pellegrinaggio; c’è chi desidera visitare per la prima (o per l’ennesima) volta il santuario perché ha una particolare venerazione per san Michele e vuole farlo in una maniera “antica”; c’è chi vuole mettere alla prova se stesso; e c’è chi è spinto da varie delle precedenti motivazioni…
Spirito medievale e non percorso medievale, dicevamo: in effetti il tragitto che i pellegrini compivano fino a un secolo fa è ora stato quasi interamente trasformato in vie asfaltate e trafficate. È quindi necessario spostarsi su sentieri paralleli (nella migliore delle ipotesi) oppure scegliere strade alternative, magari salendo e discendendo da monti e colline laddove i valichi sono divenuti strade statali o provinciali.
Seguendo la via (ideale) che i Longobardi percorsero per rendere omaggio al loro santuario nazionale e che i sovrani successivi continuarono ad abbellire e valorizzare, ci si può domandare se il solo fatto di essersi messi in camino possa essere considerato come aver raggiunto la meta: la stragrande maggioranza degli antichi pellegrini si muoveva a piedi per quello che, in concreto, era l’unico mezzo possibile; ai nostri giorni è assai più semplice (e anche molto meno dispendioso) raggiungere in una sola giornata il santuario con l’auto o un pullman.
La fatica del muoversi a piedi, l’avere tempo non solo per notare la tavola delle imposte sul bestiame, ma soprattutto per godere del silenzio e pregare; dover passare attraverso luoghi che altrimenti si sorpasserebbero senza fare attenzione, dalla semplice, ma antichissima chiesetta longobarda — dedicata (ovviamente) a san Michele — sulla collina più alta del territorio di Pago Veiano alla stupenda cattedrale di Troia; avere tempo per parlare con gli altri pellegrini o con il sacerdote che accompagna il gruppo; tutto ciò aggiunge al pellegrinaggio — soprattutto se effettuato nella interezza del percorso — un ulteriore sapore mistico. È difficile descrivere l’emozione che si prova nel giungere a Monte Sant’Angelo, nell’attraversare il paesino rimasto quasi miracolosamente intatto e, soprattutto, nello scendere la lunga scala che porta alla grotta in cui è ricavata la chiesa.
Compiere a piedi un percorso così lungo — verso Monte Sant’Angelo come verso Santiago di Compostela o Roma — permette anche di comprendere lo spirito che animava i pellegrini del passato: quasi cambiare completamente vita, lasciando la propria terra per settimane se non per mesi e mesi (pensiamo, ad esempio, a chi abitava in Germania), lasciandosi alle spalle la famiglia, la casa e il lavoro per recarsi in un luogo sacro a pregare e a scontare i propri peccati. Solo la fatica, la sofferenza, la meditazione, la preghiera possono dare un senso al pellegrinaggio dei nostri giorni.
Questo testo di Luigi Vinciguerra è tratto da Radici Cristiane. Visita radicicristiane.it