No all’aborto nelle Filippine, guerra a Malta, obiettori discriminati in Spagna

Ancora buone notizie sul fronte della vita: il governo filippino ha detto no alla legalizzazione dell’aborto, richiesta formalmente dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. La ragione del rifiuto opposto alle pressioni internazionali ricevute è stata espressa a chiare lettere dal ministro di Giustizia, Jesús Crispín Remulla: il Paese è a maggioranza cattolica, dunque l’aborto contraddirebbe i suoi valori fondamentali. Così come li contraddicono le cosiddette “nozze” Lgbt ed anche il divorzio, che qui è e resta illegale – unico Paese al mondo, oltre al Vaticano -. Grazie a Dio, c’è ancora chi dice no alle pretese di un Occidente fondamentalmente e virulentemente anticristiano.
Anche a Malta, sull’aborto si sta giocando una partita molto delicata: attualmente è vietato, ma una modifica, proposta dal governo alla legge vigente in materia, consentirebbe di uccidere il bimbo in grembo non solo quando fosse in pericolo la vita della madre, bensì, più genericamente, quando fosse in gioco la sua salute.
A chiedere la depenalizzazione dell’aborto fu nel maggio scorso l’ex-deputata indipendente Marlene Farrugia, riscuotendo l’immediato sostegno degli immancabili gruppi socialisti e Verdi, che definiscono questo «un primo passo importante» per salvare «delle vite», nella migliore tradizione dell’antilingua; contro, invece, si sono espressi il Partito nazionalista ed il mondo pro-life, comprendente l’ex-presidente Marie Louise Coleiro Preca, 44 organizzazioni ed un’ottantina di accademici.
Ma non basta: anche il Presidente in carica, George Vella, ha dichiarato di volersi dimettere, nel caso il Parlamento approvasse tale modifica. Già lo scorso luglio, quando era stata approvata in sede parlamentare un’altra normativa, quella che consente ai medici di eseguire test genetici sugli embrioni ottenuti da fecondazione in vitro, il presidente Vella, per evitare di firmarla, era volato nel Regno Unito, lasciando al suo sostituto, Frank Bezzina, l’ingrato compito. Per questo venne anche accusato di essersi sottratto ad un suo dovere istituzionale. Questa volta ha voluto render chiara la propria posizione sull’aborto. Così, nel corso di un’intervista rilasciata a Net News, Vella ha dichiarato di essere assolutamente contrario, senza se e senza ma, poiché «o hai ucciso o non hai ucciso – ha detto – Non ci possono essere mezze misure per la morte. Sono molto chiaro, non ci sono ma». Il presidente Vella è medico, dunque sa bene di cosa si stia parlando: per questo, è irremovibile nella decisione di lasciare, piuttosto di avallare una simile normativa.
L’emendamento proposto al codice penale dovrebbe essere votato dal Parlamento entro il prossimo 19 dicembre, dopodiché, per essere convertito in legge, dovrebbe essere firmato dal Presidente. Che probabilmente non ci sarà più. Se Vella si dimettesse, sarebbe il primo caso nella storia di Malta.
Nella Spagna governata dai socialcomunisti, invece, la foga pro-aborto intende escludere, nella futura legge in materia, gli obiettori di coscienza dalle commissioni cliniche, che analizzeranno le richieste di aborto dovute a motivi medici ovvero ad anomalie e malattie gravi o incurabili del nascituro. I medici specializzati in ginecologia ed ostetricia oppure gli esperti in diagnosi prenatale od anche i pediatri, che, pur avendo i titoli, risultino iscritti al registro degli obiettori o ne abbiano fatto parte negli ultimi tre anni, non potranno far parte di tali commissioni, peraltro molto importanti, poiché spetta ad esse valutare se consentire l’aborto anche oltre i termini ordinariamente stabiliti per legge. L’approvazione della proposta in Parlamento viene data per scontata, il che creerà un’evidente ed ingiusta discriminazione verso i sanitari obiettori di coscienza, probabilmente ulteriore passo verso la loro eliminazione, come richiesto da tempo da radicali e Sinistre a livello europeo.