Montefalco, la croce e l’aquila

Nel 1907 Hermann Hesse, nel suo diario di viaggio Dall’Italia, scrive: «E un bel giorno, provenendo da Foligno, dov’ero stato ospite di un ballo mascherato di provincia, giunsi sotto la pioggia e in un mare di fango all’arroccata cittadina di Montefalco. Pur essendo situata in posizione ardita e avendo l’aspetto di una rocca fiera e bellicosa, Montefalco è oggi uno dei luoghi più pacifici della terra, un quieto centro di arte francescana». Nessuno come Hesse è riuscito a descrivere meglio l’amenità di questo luogo, ad eccezione ovviamente del meraviglioso ciclo di affreschi realizzato da Benozzo Gozzoli nella chiesa cittadina di san Francesco a metà del Quattrocento.
La felice posizione geografica del crinale delle colline su cui sorge Montefalco è un elemento molto importante della sua storia politica, sociale ed economica. Le bellezze panoramiche ed ambientali, la fertilità del suolo, l’abbondanza delle sorgenti d’acqua e la sicurezza del luogo sono i fattori principali dell’avviarsi di quel processo d’insediamento umano, che si svilupperà in epoca romana anche grazie al suo ruolo di dominio sulla valle umbra, proscenio di quel tratto della via Flaminia, che da Narni attraversava Carsulae e Bevagna, dirigendosi alla volta di Fano e Rimini. Il nome primitivo della città, Coccorone, pare riferirsi alla villa che l’ipotetico senatore romano Marco Curione fece costruire proprio sul vertice del colle, fondando quello che successivamente venne definito Castrum Coronii.
Solo l’8 febbraio 1250 si incontra per la prima volta il nome Montefalco in un documento comunale, segno del decisivo affrancamento dai soprusi dei ministri imperiali. Probabilmente fu proprio in dispregio all’imperatore caduto in disgrazia che i cittadini, venuti in possesso di uno dei falchi da caccia di Federico II, diedero alla loro terra il nome di Monte del Falco, scegliendo il rapace come emblema araldico della città.
L’ultimo rettilineo alberato della via principale di accesso, viale della Vittoria, sembra suggerire un’accoglienza calorosa. In realtà Montefalco si presenta cinta da torri e bastioni per ammonire che, da qualunque direzione la si raggiunga, verrà protetta dalle sue alte e possenti mura medioevali, che tuttora ne circondano il perimetro senza interruzioni. Oggi come allora l’unico modo per entrare resta quello di attraversare lo spessore di una delle sue cinque porte.
Prima fra tutte Porta Sant’Agostino, la più elegante e la più nota, già ritratta nel ciclo di affreschi di Benozzo Gozzoli nell’abside della chiesa di San Francesco datato 1452. Essa ci si presenta ancora identica all’epoca, se non fosse per la mancanza del tetto a capanna in tegole rosse, sostituito da merli ghibellini in epoca romantica. Identica la rampa di accesso, il ballatoio aggettante e le tre sottili feritoie usate nell’epoca delle balestre. L’affresco apotropaico in controfacciata propone una magnifica Madonna con Bambino e Santi risalente al XV secolo.
Corso Mameli è la stratam magnam che il gergo popolare traduce con l’equipollente stradone: si snoda per 250 metri in salita, prima di raggiungere la piazza. Svoltando a destra, si apre via De Cuppis, quella che Hesse descrive come «minuscolo vicolo ritagliato fra alte case di pietra grezza, antiche torri, portali, castelli, chiese e mura». Appare all’improvviso ritagliata fra le case la piccola piazza dedicata a don Brizio Casciola, filosofo montefalchese vicino sul modernismo.
La chiesa di Santa Chiara della Croce è senza alcun dubbio la figura di riferimento principale della spiritualità cittadina. Vissuta nella seconda metà del XIII secolo, Chiara entrò a soli sei anni nel reclusorio fondato dalla sorella Giovanna e ne svolse il ruolo di badessa con severa carità fino alla morte, avvenuta l’8 agosto 1308. Le testimonianze del processo di canonizzazione riferiscono di una donna di grande carisma e vivacità intellettuale, con doti mistiche e profetiche, in grado di consigliare perfino personaggi di altissima levatura come il card. Pietro Colonna o il teologo francescano Ubertino da Casale.
Questo testo di Antonella Primiera è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it