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Monsignor Marcel Lefebvre. Il Vescovo francese che difese la Santa Messa e il santo sacerdozio

Santi: ritratti di fede29 Marzo 2020
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Parlando, in questa rubrica, di ritratti di Fede, non è possibile non occuparsi di Monsignor Marcel Lefebvre nella ricorrenza del 25 marzo, giorno in cui la Chiesa celebra l’Annunciazione di Maria Vergine e giorno in cui morì nel 1991 il Vescovo francese, del quale quest’anno ricorrono 115 anni dalla sua nascita.

Monsignor Marcel Lefebvre è una delle sentinelle più importanti della Tradizione cattolica che si sono distinte nel XX secolo, è un paladino del Depositum Fidei di Santa Romana Chiesa, custode fedele della Santa Messa, dell’integrità santificante del sacerdozio, del primato petrino, del Credo stabile e fermo. Il suo nome, nell’immaginario collettivo, è spesso legato alla figura di un Vescovo “ribelle”, non obbediente alla Chiesa. Dagli anni Settanta del Novecento il solo pronunciarlo pareva evocare chissà quali negatività, chissà quali scissioni… Buona parte della pubblicistica e dei giornalisti l’ha dipinto come uno «scismatico», uno che voleva farsi una Chiesa tutta sua… In realtà fu una personalità scomoda perché parlò con coraggiosa chiarezza in un tempo di grande confusione nella Chiesa e nel mondo.

Marcel Lefebvre nasce a Tourcoing (Francia) il 29 novembre 1905 da una famiglia tenacemente cattolica, che donò alla Chiesa, a partire dal 1738, cinquanta suoi figli, tra i quali un cardinale, diversi vescovi, numerosi sacerdoti, religiose e religiosi. Il padre di Marcel, René Lefebvre (1879 – 1944), ricco imprenditore tessile ed esponente di spicco della resistenza francese, venne incarcerato dai tedeschi nel 1941 e trucidato nel lager nazista di Sonnenburg (Brandeburgo). La madre, Gabrielle Watine (1880- 1938), morta in odore di santità, ebbe otto figli, dei quali due maschi (René e Marcel) divennero sacerdoti e due femmine (Bernadette e Christiane) religiose. Marcel, dalla precoce vocazione, entrò in «Santa Chiara», il Seminario francese di Roma, dove acquisì una formazione romana e, dopo aver regolarmente svolto il servizio militare in patria, si laureò in Filosofia e in Teologia alla Pontificia Università Gregoriana. Il 21 settembre 1929 fu ordinato sacerdote a Lille, dove svolse un breve periodo come vicario in una parrocchia; entrò nel 1931 nella Congregazione missionaria dello Spirito Santo e partì per il Gabon il 12 novembre 1932.

Nei trent’anni di permanenza in Africa fece una prodigiosa semina evangelizzatrice, mietendo stima, considerazione, ammirazione. Appena giunto in terra di missione fu nominato professore di Dogmatica e di Sacra Scrittura al Gran Seminario di Libreville, che raggruppava tutti i seminaristi dell’Africa equatoriale francese e l’evangelizzazione portava il benessere materiale, conseguente alla civilizzazione cattolica. Fondò scuole, seminari, chiese, invitando in Africa congregazioni e ordini religiosi, i quali apportarono una notevole ricchezza spirituale e grande carità cristiana.

Nel 1943 si trovò vacante il superiorato della missione di Lambaréné, perciò venne affidato a padre Lefebvre, che qui rimase da aprile ad ottobre del 1945. Qui si stabilì una fruttuosa collaborazione fra Lefebvre e il celebre medico tedesco Albert Schweitzer (1875 – 1965), fondatore dell’ospedale della città. Il dottor Schweitzer si recava alla missione di padre Lefebvre per curare i confratelli malati e il dottore alsaziano, luterano, musicista e amante di Bach, andava nella chiesa di San Francesco Saverio, nelle grandi solennità, per suonare l’organo.

Il ricordo di Monsignor Lefebvre, nell’Africa francofona, è ancora vivo, tanto che sono stati emessi francobolli con la sua effigie e sono state intitolate vie e piazze a suo nome. La popolazione del Gabon triplicò fra il 1933 ed il 1947 e il Paese divenne il più cristiano dell’Africa francofona. Nel 1945 fu richiamato in Francia per assumere la direzione del Seminario dei Padri dello Spirito Santo a Mortain (Normandia). Nel settembre 1947, a 42 anni, venne consacrato Vescovo e nominato Vicario apostolico del Senegal, per volontà di papa Pio XII.

Un anno dopo venne nominato Delegato apostolico per tutta quell’Africa francofona di cui era diventato punto di riferimento. Nel 1955, quando in Senegal fu istituita la gerarchia ecclesiastica locale, fu il primo Arcivescovo di Dakar. Restò Delegato apostolico fino al 1959 e Arcivescovo fino al 1962. In 11 anni di lavoro come Delegato apostolico le diocesi passarono da 44 a 65, inoltre a Dakar raddoppiò il numero dei cattolici e da 3 chiese presenti si arrivò a 13.

Sotto il pontificato di Giovanni XXIII, nel 1962, fu nominato Vescovo di Tulle, piccola diocesi della Francia, nello stesso anno venne eletto Superiore Generale dei Padri dello Spirito Santo, funzione dalla quale si dimise nel 1968, a causa dei venti modernisti entrati nella Congregazione. Dal 1962 al 1965 fu padre conciliare e guida della resistenza conservatrice al Concilio Ecumenico Vaticano II, coagulata intorno al Coetus Internationalis Patrum. Forte fu la sua presa di posizione contro un Concilio pastorale nei cui dettami vedeva e denunciava pubblicamente le conseguenze relativistiche e lassiste che ne sarebbero sorte.

Lefebvre si presenta al Concilio Vaticano II come un riformatore pacelliano molto prudente. Siamo al giorno 11 ottobre 1962 e dopo oltre un secolo la Chiesa Cattolica Romana si riunisce nuovamente. L’Arcivescovo francese si presenta all’importante appuntamento come uno dei Padri Conciliari, con spirito relativamente fiducioso: reputa che la preparazione sia stata ben organizzata, ma ben presto inizia a rendersi conto che è presente un’incertezza liberale in seno al Concilio, verso la quale bisogna rispondere. Gli schemi preparati da Lefebvre in tre anni di lavoro vengono respinti fin dalle prime giornate dell’Assise. Si impongono nel Concilio alcuni uomini di Chiesa dallo spirito rivoluzionario, ispirati soprattutto dalla Nouvelle théologie [alcuni nomi: Yves Marie-Joseph Congar (1904 – 1995), Marie-Dominique Chenu (1895 – 1990), Henri-Marie Joseph Sonier de Lubac (1896 – 1991), Karl Rahner (1904 – 1984) e Jean-Guenolé-Marie Daniélou (1905 – 1974)]. Tali tesi teologiche influenzano i vescovi, i quali, anche se dichiarano di non toccare il dogma cattolico, votano dei testi fondamentali che modificano i rapporti tra la Chiesa e il mondo. Lefebvre stesso riassume tali comportamenti con la frase: «è la rivoluzione francese», dove la libertà di coscienza si impone. Condannata dai Papi nel XIX secolo, la libertà religiosa viene riconosciuta dal Concilio Vaticano II e dunque viene concesso ad ogni uomo il diritto di professare apertamente ciò che gli detta la coscienza.

Agli occhi dei fedeli il cambiamento più visibile nella Chiesa resta senza dubbio quello della liturgia. Fin dal 1969 Paolo VI ordina l’applicazione del Novus Ordo Missae, al posto dell’antico Messale detto di San PioV. Nonostante le disposizioni, Marcel Lefebvre decide di continuare a celebrare la Santa Messa di sempre, il Vetus Ordo.

Nel maggio del 1969 alcuni seminaristi chiesero a monsignor Lefebvre di poter ricevere da lui una formazione sacerdotale cattolica tradizionale e, piegato dalle loro insistenze, decise di fondare a Friburgo il «Convitto internazionale San Pio X», il Papa santo che aveva condannato l’eresia modernista nel 1907 con l’enciclica Pascendi Dominici Gregis. Cinquant’anni fa, il 1° ottobre 1970 aprì, con l’autorizzazione del Vescovo di Sion (Svizzera), un anno di spiritualità di preparazione agli studi ecclesiastici ad Écône (Svizzera) e in dicembre vide la luce, con approvazione episcopale, il Seminario della Fraternità San Pio X. Tuttavia si formò un clima di profonda avversione intorno al tomista monsignor Lefebvre, che non rinunciava a denunciare, con la determinazione di un sant’Atanasio (295 – 373) e di una santa Caterina da Siena (1347 – 1380), le idee neo-moderniste.

Con desolazione e amarezza Paolo VI, nell’angosciata omelia del 29 giugno 1972, dichiarava: «Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza». Lefebvre l’aveva detto con ardore e passione, con dolore e forza, subendo conseguenze molto gravi e pagando di persona, con la sospensione a divinis, il 22 luglio 1976, e con la scomunica, il 1° luglio 1988.

Trascorse gli ultimi anni della sua vita fra i continui spostamenti dovuti al consolidamento e allo sviluppo dell’opera internazionale San Pio X. Si spense nell’ospedale svizzero di Martigny. Sulla sua semplice tomba, nel caveau di Écône, venne scritto per sua volontà: Tradidi quod et accepiVi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto», 1Cor 15, 3). Le sue spoglie, in occasione del giubileo del Seminario di Écône, saranno traslate il 24 settembre 2020 nella chiesa del Cuore Immacolato di Maria.

Non possedeva doti profetiche, ma era un profondo realista e, soprattutto, uno zelante ed eroico difensore della Fede. Ed ecco che, sotto il pontificato di Benedetto XVI, con il Motu proprio del 7 luglio 2007, Summorum Pontificum, è stata liberalizzata la Santa Messa di sempre, il cui «Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso», e il 24 gennaio 2009 è stato revocato il decreto di scomunica latae sententiae ai vescovi della Fraternità Sacerdotale San Pio X, consacrati da monsignor Lefebvre nel 1988.

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