Miniature (Parte I)

Che cos’è la verità per l’uomo del Medio Evo? Quale visione del mondo ne orienta le scelte in ambito politico e religioso? Come cambia – e perché – l’interpretazione delle Scritture nei secoli compresi fra l’affermarsi del Cristianesimo e l’età moderna? A queste domande affascinanti e complesse rispondono gli studiosi delle fonti, gli storici, i teologi. Ma risponde anche lo studioso di iconografia, che trova nelle immagini risposte talvolta più potenti di quelle manifestate nei testi scritti. Specialmente quando si rivolga ad una particolare tipologia di immagini: le miniature.
Analizzare l’iconografia delle miniature implica una conoscenza profonda non solo della storia dell’arte e delle sue espressioni figurative nei periodi di cui ci si occupi, ma anche uno studio completo del manufatto “codice miniato”: l’immagine infatti è parte integrante e non semplice aggiunta od ornamento del manoscritto e non può quindi essere studiata estrapolandola dal suo contesto come se fosse un piccolo quadro o una tavoletta dipinta. La stessa indagine iconologica non può prescindere da una visione globale dell’immagine in questione e del ciclo in cui è inserita, pena lo smarrimento del senso generale profondo che va oltre l’interpretazione dei simboli e delle singole iconografie.
D’altra parte questi manoscritti, quando contengono la Parola di Dio, in alcuni periodi della nostra storia sono stati considerati alla stregua di veri e propri reliquiari, come in età Carolingia e Ottoniana. Lo dimostrano le straordinarie coperte che li rivestivano e li proteggevano, veri e propri reliquiari in oro o metallo dorato tempestati di gemme, camei, perle, avori e smalti: al loro interno la reliquia più preziosa, appunto la Parola. E toccare questi oggetti, così come avveniva per le reliquie dei grandi Santi, garantiva la guarigione da malattie di grande impatto sociale come le scrofole, specialmente quando il codice appartenesse ad un sovrano, cui venivano riconosciute particolari doti taumaturgiche.
Ed è in effetti proprio nel secolo della dinastia ottoniana che la questione del ruolo dell’Impero rispetto al Papato giunge al suo culmine: miniature come l’apertura dei Vangeli di Ottone III costituiscono la straordinaria sintesi di un’ideologia complessa quale quella del rapporto fra Regnum e Sacerdotium che, formulata da papa Gelasio I nel 494, si afferma con forza in età carolingia per raggiungere l’apoteosi nel progetto di Ottone III di respublica christiana: l’unificazione di tutta la Christianitas in un solo regno i cui pilastri siano il Papato e l’Impero. è il concetto di Ecclesia, che in quest’epoca ha un ampio significato di governo istituzionale pubblico amministrativo oltre che religioso e che dominerà il panorama sociopolitico dell’Occidente fino alla fine del sec. XI, quando Gregorio VII ne stravolgerà la concezione definendola corpus Christi mysticum e giungendo ad identificarla con il papa stesso.
Nei Vangeli di Ottone III la miniatura dell’imperatore in trono con i simboli del potere e i suoi dignitari a destra e a sinistra del trono – rispettivamente due laici e due ecclesiastici – costituisce una rappresentazione per immagini della concezione ottoniana del sovrano come rector in exterioribus della Chiesa, alla stessa stregua del papa che è rector in interioribus, come recita esplicitamente il pontificale romano-germanico dell’incoronazione. Le province dell’Impero personificate mentre portano doni all’imperatore si inchinano nella posa della proskynesis bizantina esattamente come i magi che portano i loro doni al Bambino nel ricamo aureo della clamide di Teodora nel mosaico di San Vitale a Ravenna: la “divinità” dell’imperatore ottoniano nel significato sopra descritto non potrebbe essere rappresentata con maggiore evidenza.
Questo testo di Laura Carlino è tratto dalla rivista Radici Cristiane. Visita il sito radicicristiane.it